Con un concept profondamente radicato nella mitologia e nei misteriosi e sanguinari culti dell’antica Etruria, si presentano a noi i romani Sangue, che dopo l’omonimo ep di debutto pubblicato nel 2017, approdano ora all’esordio sulla lunga distanza, sotto l’egida della statunitense Nuclear War Now! Productions, etichetta che ha ormai definitivamente consacrato il proprio ruolo di scopritrice di talenti nella frangia più oscura e brutale del black/death metal più estremo e senza compromessi. Nel tentativo di conseguire i favori di divinità pagane oscure e violente, i Sangue ci travolgono con un vortice di morte, manifestazione bestiale di un caos ancestrale che tuttavia non sfocia mai nella cacofonia fine a sé stessa, riuscendo invece a mantenersi lucido attraverso una commistione tra proto black, death metal e rigurgiti di primordiale thrash ottantiano: una formula certamente non originale che però i nostri cinque cavalieri dell’apocalisse reinterpretano in maniera assai convincente, unendo alla furia assassina una certa misura compositiva che ci restituisce canzoni taglienti ed efficaci, con una buona alternanza tra assalti all’arma bianca, passaggi più cadenzati e soffocanti rallentamenti che trasudano zolfo. I pezzi sono tutti inediti, con l’eccezione di “The Rite Of Cosmic Void”, già presente nel precedente ep e riregistrato per l’occasione: e proprio dal confronto tra la versione originale di questo pezzo e la nuova versione presente in questo album si può misurare il balzo in avanti compiuto dal gruppo in termini di registrazione, che in questo caso è particolarmente corposa e cavernosa ma consente a tutti gli strumenti di esprimersi al meglio, senza confondersi in un pastone inestricabile e senza rinunciare al contempo ad un sound saturo e distorto.
La potenza devastante sprigionata dalle note può rendere giustificabile accostamenti con acts nostrani come Demonomancy e Blasphemous Noise Torment, mentre in altri frangenti (ad esempio la conclusiva “When The Magus Whispers To The Skies”, a mio avviso il pezzo migliore del lotto) la band esplora territori più epici e magniloquenti, rievocando alcune cose dei Deströyer 666. Le canzoni si mantengono tutte su un livello qualitativo soddisfacente, grazie al potente intreccio delle chitarre di Welt e Valerio Scissor, profondamente cementate dalle linee di basso di MeTa e scandite dal furibondo ma chirurgico drumwork di Rector Stench, già nei più noti austriaci Pungent Stench; il tutto graziato dal growling cadaverico e riverberato di Mirko “Offender” Scarpa (VII Arcano), in grado di risultare non solo tremendamente catacombale ma anche sufficientemente espressivo. Da segnalare infine tre prestigiose collaborazioni, che impreziosiscono ulteriormente l’uscita e ne rendono appetibile anche l’acquisto, soprattutto per i collezionisti più incalliti: la breve intro è composta ed eseguita nientemeno che da Claudio Simonetti (il mastermind dei Goblin davvero ritengo che non abbia bisogno di particolari presentazioni); mentre il cupo ed affascinante coverartwork è opera di Timo Ketola, autore tra i più apprezzati e prolifici, e la poster art è stata realizzata da Enzo Sciotti, illustratore noto soprattutto per le sue bellissime locandine di film horror (ma non solo), tra le quali ad esempio “La Casa”, “Il Buio Si Avvicina”, “Un Gatto Nel Cervello” e molti altri.
Insomma, una cura nei dettagli che riguarda non solo la produzione e gli arrangiamenti ma anche aspetti extramusicali, che tuttavia contribuiscono a rendere il lavoro completo e professionale. I Sangue sanno come far male e questo “Culś” è un album potente e feroce, che oltrettutto mette in mostra ampi margini di miglioramento in vista di produzioni future: nella speranza che gli antichi dei etruschi, placati da questo sacrificio, ci tengano indenni dalla loro ira funesta e ci risparmino la dannazione eterna.