Il terribile Drastus, dopo essersi immerso nell’oblio tra castelli, vigneti e campagne nella stupenda regione francese della Loira, facendo perdere tracce di sé dal 2009, subito dopo il buono e particolare ep “Serpent’s Chalice - Materia Prima”, lo ritroviamo a sorpresa tra i nostri promo da recensire con il suo nuovo figlio generato dall’unione della sua mente perversa con quella del maligno in prima persona. Questo figlio prende il nome di “La Croix De Sang” e rappresenta a tutti gli effetti il nuovo e secondo lp del mastermind francese, dopo dieci anni di ritiro dalle scene. Sette tracce, di cui una strumentale, di black metal oltranzista e grezzo, brutale e affilato come cesoie, pronto a mietere vittime stile Jeepers Creepers. Rispetto all’ultima uscita discografica si nota già dall’opener “Nihil Sine Polum” come il francesino abbia abbandonato qualsiasi tipo di sperimentazione o tentativi di esplorazione di meandri ancora non conosciuti, per dedicarsi a una guerra sonora che non lascerà prigionieri.
Si era apprezzato nel precedente ep come al canonico black metal si fosse accostata una sorta di progressione verso atmosfere maligne ma particolari nel loro incedere basato su suoni d’atmosfera ovattati e pestilenziali. Questa nuova fatica sposta le coordinate e fa intuire già dai primi secondi che farà dell’impatto e della resa low fi il suo punto forte (o debole?), andando a toccare oltre che il black più tradizionale, il thrash metal più estremo, passando dal death più sporco e ortodosso. Per avere conferme basta aspettare poco più di cinque minuti, durata della prima song, per dare spazio a “Ashura” e “Crawling Fire”, le successive killer track, che continuano l’andamento che si avrà costantemente per tutto il disco, con una gran dose di blast beat incontrollati, di tanto in tanto inframezzati da rallentamenti, che creano quello stacco necessario a dare dinamica alle composizioni, cosa che di rado però riuscirà al nostro beniamino, tranne in sporadici casi. Infatti i Drastus riescono a creare quelle sensazioni malsane e terribili proprio quando rallentano i tempi, senza pigiare eccessivamente sull’acceleratore e usando qualche sporadica clean vocals, che più che tessere melodie riesce a imprimere sensazioni di pena e dolore. “Occisor”, la penultima traccia posta in scaletta subito dopo una breve strumentale dedita completamente all’atmosfera, vince la palma della migliore traccia del lotto insieme all’opener e alla conclusiva “Constrictor Torrents”. Proprio in “Occisor” si capisce come la band dia il meglio di sé nei mid tempos anzichè focalizzare tutto sul blast dedito esclusivamente al massacro collettivo, che purtroppo ricopre un ruolo da protagonista nell’intero platter. Il disco ha un andamento altalenante ed estenuante che difficilmente farà sì che si arrivi alla fruizione completa, preferendo magari ascoltare qualche pezzo sparso. Sarà forse per la proposta tendente a essere ossessionante ed eccessivamente ripetitiva, con tutte le canzoni che tendono ad assomigliarsi senza riscontrare notevoli differenze; sarà forse per la produzione, che oltre avere dei suoni eccessivamente sporchi di chitarra, cosa che ci può stare, mette in risalto la voce a discapito di una batteria che risulta essere quasi in sordina e troppo caotica, ma questo lavoro non mi ha pienamente convinto.
Tornando alla voce di Drastus, non ci siamo proprio: rispetto alle precedenti releases ci sono stati passi indietro nella resa delle sue harsh vocals così come nel cantato pulito; le prime risultano monocordi, senza dare un minimo di enfasi alle composizioni e rendendole piatte dal punto di vista espressivo (dal blast al mid tempo la linea vocale è sempre uguale); mentre per quanto riguarda le clean/spoken vocals si migliora leggermente dal punto di vista interpretativo, ma risultano spesso fuori luogo creando, anziché un break dalla furia costante del disco, un ulteriore stato confusionale. “La Croix De Sang” è un gradito ritorno perché è sinonimo di una band che ha ancora voglia di mettersi in gioco ed è viva, cosa sempre più difficile nella giungla underground, ma a causa dei difetti evidenziati, che permangono durante tutti i quasi cinquanta minuti di durata del disco (troppi), di sicuro non possiamo giudicare positivamente questo comeback, che a conti fatti risulta piuttosto noioso e, dopo svariati ascolti, non lascia dentro l’ascoltatore nulla di diverso da una grande confusione sonora. Un netto passo indietro rispetto alle precedenti releases; andiamo avanti ad ascoltare altro con la speranza si tratti esclusivamente di un passo falso che può capitare a tutti.