Da diversi anni a questa parte, nel vasto e magmatico calderone post black si muovono realtà più o meno interessanti che, con risultati talvolta stucchevoli e trascurabili ed in altri casi invece decisamente degni di nota, hanno comunque avuto il merito di travalicare i confini spesso rigidi del genere, dando vita a sperimentazioni e commistioni di vario tipo, mescolando la base black con molteplici suggestioni ed influenze e costituendo (pur, lo ribadisco, tra alti e bassi) un elemento di novità e di rottura, che ha saputo attrarre l’attenzione di critica specializzata e pubblico. In questo ampio e multiforme contesto si inseriscono di prepotenza anche i John, The Void, quintetto nostrano che ha da poco firmato con Argonauta Records e che, dopo un ep ed il full length di debutto e dopo aver condisiviso il palco con realtà come Lento, Fleshgod Apocalypse, Morkobot, Zeus! e Grime, giunge ora alla seconda fatica sulla lunga distanza, distillando il proprio disagio ed il proprio male di vivere in sette tracce che implodono ed esplodono in continui cambi di direzione emotiva, con l’ago della bilancia però pendente in modo deciso verso il lato meditativo ed introspettivo della faccenda. “III-Adversa”, è bene dirlo subito, non è un disco di facile ed immediata fruizione, e rimarrete inevitabilmente delusi se siete alla ricerca del riff d’impatto o della melodia che vi possa catturare fin dal primo ascolto. La cifra essenziale dell’album è infatti l’atmosfera che riesce a creare nel complessivo dipanarsi dei pezzi che lo compongono, grigia come una giornata di novembre e pesante come un macigno che, staccatosi dal fianco della montagna, rotola inesorabilmente a valle col rombo del tuono.
“III-Adversa” si muove a tratti come un pachiderma in una palude mefitica, in altri casi striscia come una nebbia che impedisce di distinguere i contorni del reale, confondendo ogni cosa in visioni spettrali, in altri ancora dà libero sfogo ad eccessi di collera, dibattendosi tra le amarezze dell’esistenza. Siamo sempre in bilico tra il doom più plumbeo e lo sludge più granitico, con qualche richiamo a band come Eyehategod e Corrosion Of Conformity; il tutto costellato da parti più rabbiosamente black qua e là e da diverse e pregevoli fughe ambient e post rock, con sonorità che si fanno liquide come una pozzanghera e si dilatano fino a divenire impalpabili, lambendo perfino i confini di una psichedelia incorporea e tutta pinkfloydiana. Una proposta forse non completamente originale, che tuttavia i nostri riescono a rielaborare con personalità e chiarezza d’intenti, dando anche prova di una certa maturità compositiva e creando un monolite compatto, che al suo interno presenta però molte e fitte trame sonore, in grado di annichilire i nervi dell’ascoltatore. Anche il concept non lascia spazio all’allegria e alla spensieratezza e la band ce lo spiega così: “A differenza delle release precedenti, le sonorità ed il concept sono meno legate ad un immaginario sci-fi, ma più terreno e concreto. Ogni pezzo è legato ad uno specifico stato d’animo, ad un senso di disperazione in cui l’essere umano deve confrontarsi con l’irreparabile senso di impotenza nei confronti del destino, scontrandosi con il dolore, la perdita, il senso di colpa, e l’estenuante guerra per trovare la pace”. Attraverso distorsioni sonore ed urla laceranti i John, The Void ci prendono per mano e ci guidano in un viaggio straziante ed isterico, nel corso del quale sembra di raggiungere momenti di quiete: ma è solo un’illusione che non può durare a lungo perché la vita è irrimediabilmente dominata dall’irrequietudine e dal vuoto. “III-Adversa” è un disco stratificato, che brilla per la sua lucida follia e per alcune soluzioni esecutive davvero azzeccate: consigliato a tutti gli amanti del metal contaminato da elementi post, che non temono di dare uno sguardo all’abisso.