Siete amanti delle sonorità becere, troglodite e ortodosse? Siete cresciuti a Mötorhead, birra, giubbotti di pelle e atti vandalici? Avete sempre pensato che andare all’inferno sia più divertente che salire in paradiso? Se a tutte queste domande rispondete di sì, allora gli Ultra Silvam fanno per voi. Il power trio proveniente da Malmö esordisce con questo “The Spearwound Salvation” in maniera decisa, dopo la demo edita nel 2017. I farabutti svedesi non le mandano a dire ma sputano in faccia tutta la loro rabbia con una violenza sorprendente sotto vari aspetti. È davvero incredibile come gli Ultra Silvam sembrino suonare più old school delle stesse band che ai tempi furono capostipiti dell’intera scena estrema. Dilungarsi su un disco del genere sarebbe superfluo in quanto qui il discorso è basato quasi esclusivamente sulla prepotenza e l’impatto del black metal sparato a velocità fotoniche, con suoni acerbi, filtrati e distorti che, seppur a discapito della comprensibilità di svariati passaggi, rendono il tutto cosi dannatamente retrò da farci pensare di ascoltare un disco edito nel 1995. Gli Ultra Silvam sono dei buoni cuochi che hanno deciso di deliziare i nostri palati fini, ma mai delicati, a suon di blast beat, tremolo, e urla di demoni posseduti, aggiungendo qualche ingrediente speciale della casa, come una massiccia dose di melodia per quanto riguarda i riff portanti delle composizioni e quell’attitudine scanzonata hard n’heavy che spazia da reminiscenze mötorheadiane a cavalcate in terzine più consone al metal classico britannico, condito dalla classica spruzzata punk che male non fa, e da suoni acidi, sporchi e cattivi; in due parole: black metal.
Outfit total black quindi, non per eleganza ma per far trasparire l’essenza becera di questo disco che spinge sull’acceleratore dall’inizio alla fine nei suoi ventotto minuti scarsi: una durata più che sufficiente per logorarci timpani e cervella, tra pezzi più ragionati come “Ödesalens Uppenbarelse” che, seppur diretta come un jab in bocca, riesce a passare da sfuriate a rallentamenti cadenzati dal retrogusto tipicamente NWOBHM, creando atmosfere vintage senza mai perdere di vista la brutalità, o la conclusiva “The First Wound”, forse il brano più intrigante del platter, epico e veemente, con una struttura variegata e rallentamenti che concedono respiro e creano un clima macabro e malsano. Trasuda punk “The Spearwound Salvation” e lo si evince soprattutto in brani come “Förintelsens Ändevasen”, tra feedback di chitarra laceranti, velocità stellari e riffoni di rara violenza, che martellano il cranio per una durata di due minuti insanguinati, per poi evolversi in maniera inaspettatamente ipnotica, sino a concludere la mattanza con un’andatura più epica, quasi psichedelica nel suo andamento morboso e ossessionante. Non ci sono momenti di tregua: gli Ultra Silvam suonano black metal ignorante e non sanno cosa siano synth, tastiere, chitarre acustiche; forse non avranno neppure mai suonato il classico flauto alle scuole medie, dove già disegnavano caproni di mendes sul banco e festeggiavano quando venivano cacciati dall’aula dopo aver urlato qualche epiteto nei confronti dell’Altissimo. Tutto ciò che non può far pensare ad altro che a una band ottusa e oltranzista, cosa verissima d’altro canto: dobbiamo però ammettere che qui abbiamo a che fare con ragazzi preparati, che si presentano all’esame del primo disco, oltre che un buon bagaglio di idee, che si traducono nella costante ricerca di melodia nei riff e nell’alternarsi sempre ben riuscito di cambi di tempo che rendono il disco molto dinamico. “Wings Of Burial” non è una canzone che scrivono tutti: nella sua semplicità trasuda echi della Norvegia dei primi anni novanta e ci catapulta indietro nel tempo, come se fossimo seduti in un bar con un quotidiano datato 11 agosto 1993 recante a caratteri cubitali la notizia dell’assassinio di Øystein Aarseth; un epico, dannato tuffo nel passato con classe e dedizione fuori dal comune.
“Birth Of A Mountain” vince il titolo di canzone più ruffiana, grazie a un incipt di chitarre molto melodico: un black/thrash dalle costanti influenze rockeggianti e speed, che si fondono a creare un connubio malato ma al contempo dannatamente funzionale. La sfrontatezza delle melodie quasi orecchiabili non deve far passare “The Spearwound Salvation” per un disco suonato da persone alle prime armi. Gli Ultra Silvam riescono nell’intento di tirare fuori una mezz’ora di black metal ortodosso e indemoniato senza mai rinunciare a strutture ritmiche variegate e a svariate influenze stilistiche. La semplicità di una Fiat Panda modello base, che non la fermi neppure dopo 800.000 km di strada, il classico ottimo connubio tra efficacia ed efficienza: quando le cose elementari fatte bene sono decisamente meglio di una qualsiasi suite progressive di quindici minuti. Registrato da Hannes Heed presso gli Studio Hiet, mixato e masterizzato da Ulf Blomberg a Hobo Rec, il debut album degli Ultra Silvam viene tuttavia penalizzato da una produzione eccessivamente zanzarosa, sporca e acerba, che fa un po’ perdere per strada le numerose sfumature melodiche che la band inserisce in ogni pezzo. Il black metal, come ben sappiamo, però è anche questo: perversione e rabbia sonora espressa tra ululati luciferini e botte da orbi e “The Spearwound Salvation” picchia dannatamente forte e colpisce come un fendente in una rissa di strada.