Come un horror movie di sere Z che si materializza in TV alle 00:00, sulla nostra scrivania è arrivato “Hell No Longer Waits”, secondo full length dei brasiliani Hellish Grave. Nulla di nuovo sotto al sole, che finalmente è uscito ad allietare queste prime giornate di giugno. La band prosegue sulla scia dei primi due ep e del precedente lp con il suo speed/thrash metal dalle venature black old school, garantendo oltre quaranta minuti di carneficina sonora dalle tinte vintage, proposta in maniera accattivante, rifacendosi costantemente a tematiche horror di ottantiana memoria, già palesi nella bella e oscura cover, che ritrae in maniera fumettistica un prete che si suicida lanciandosi dal tetto di una chiesa colpita da fulmini. Vampiri, streghe, demoni e uomini lupo fanno da cornice a questo lavoro, che ha un approccio scanzonato e stradaiolo, tanta è l’irriverenza della band, in grado d’altra parte di trasformare velocità e grandi riff in una tempesta sonora pronta a detonare dalle casse del nostro stereo datato e capace di farci lanciare dalla finestra computer, smartphone e qualsiasi oggetto presente nelle nostre case successivo agli anni novanta. Questo perché gli Hellish Grave non si sono evoluti, la loro ispirazione è ferma a metà anni ottanta e non progredisce, non va oltre; con fiera arroganza ogni singolo pezzo è un tributo a ciò che di più genuino e becero ci fu e continua a esserci.
Dai Sodom ai Vulcano, dai Celtic Frost ai Venom, passando per i Nifelheim , ma tenendo sempre presente i maestri del classico come Iron Maiden, Judas Priest e Mercyful Fate, nonchè i guru dell’horror metal tricolore, Death SS; possiamo definire questo disco come un bignami del metallo nero di trent’anni fa suonato all’alba del 2020 con riverenza e dedizione alla causa. La struttura dei singoli pezzi è facilmente intuibile ed elementare ma sempre dannatamente efficace.
Riff taglienti come lame, che tessono melodie oscure, tra up tempos e midtempos ben dosati, assoli armonizzati e una voce gracchiante che sembra raccontare filastrocche dall’oltretomba attorno a un fuoco. Se ovviamente cerchiamo qualcosa di innovativo e sperimentale “Hell No Longer Waits” non è proprio la panacea dei nostri mali, ma se siamo nostalgici di sonorità lugubri, che non disdegnano qualche frammento melodico o qualche rallentamento, qui abbiamo tanta buona carne al fuoco. Suonano bene questi ragazzi ed alternano con estrema facilità registri di matrice puramente speed a riff in tremolo ad altri ancora più cadenzati o addirittura terzinati di scuola maideniana, senza mai essere del tutto scontati e riuscendo a sorprendere chi ascolta grazie all’alternanza tra sfuriate dove predomina la brutalità e situazioni più ragionate e cariche di groove. “Transilvanian Nights” inizia l’album nel migliore dei modi, grazie ai suoi passaggi strumentali che sembrano provenire direttamente dal 1980, con un flavour orrorifico in tipica chiave Maiden era Di Anno, e sfocia in un finale thrilling oscuro e ammaliante che dà spazio al primo vero brano del disco. “In Nomine Draculae”, prosegue la cavalcata epica della prima song strumentale con un bell’up tempo classico che, grazie ai synth e a un palese approccio alla Mercyful Fate, ricorda motivi tipicamente horror, e si va a concludere con un guitar solo veloce e clinico. La successiva “Revenant Awakening” ha un riff che pare uscito da uno dei primi dischi dei Venom, partitura tipicamente thrash dalle influenze punkeggianti che crea un ritmo aggressivo, ignorante, incredibilmente veloce e rumoroso ma sempre bilanciato da prestazioni vocali ugualmente brutali. L’ispirata combo centrale “Possesed By The Witch” e “Macabre Worship” è la vera perla nera di questo disco, grazie soprattutto a linee strumentali davvero efficaci di scuola classica, con grandiosi ed esplosivi assoli, contaminati da dosi massicce di speed metal.
La batteria ha un suono old school, legnoso e sordo, più vicino a un semplice tamburo tribale (ascoltare “Lust For Youth” per capire a cosa stiamo alludendo), che detta i tempi senza accusare un minimo di stanca: dinamica e potente, valorizzata anche dalla produzione che resta vintage e underground, ma ci restituisce comunque suoni potenti e di qualità. In conclusione la band pone due belle mazzate: la title track ha un’iniziale andatura alla Venom intervallata da suoni sinistri di organo, solos tipicamente thrash e ululati di licantropi, che sfocia in un break acustico medievale ed epico che da solo riesce a dare significato a tutto il disco; mentre “Soldiers Of Hell” chiude il disco con un botto pirotecnico, grazie ai solos incrociati e a un ritornello piacevole e subito orecchiabile, che non sfigurerebbe nei titoli di coda di qualche vecchio film horror. “Hell No Longer Waits” è un platter che suona in maniera del tutto sincera. Gli Hellish Grave, forse ancora un po’ acerbi ma con le idee chiare, pur senza inventare nulla, cercano di dare nuova linfa al sottogenere di nicchia nel quale si posizionano, sovrapponendo più stili che negli anni hanno contribuito a far crescere l’intera scena estrema, unendo il tutto in una forma malsana, tenuta insieme da un sound vintage iniettato di cattiveria, rabbia, occultismo e adrenalina, a suo modo accattivante. Un’uscita discografica che non fa gridare al miracolo ma nel suo piccolo dannatamente piacevole e che potrebbe ritagliarsi, col passare del tempo, una posizione tra i dischi di culto in un genere che ha ancora margini di esplorazione.