I brasiliani Holocausto sono stati uno dei primi gruppi ad emergere, nella seconda metà degli anni ottanta, dalla scena estrema underground locale di Belo Horizonte, ora largamente riconosciuta come una delle più significative e seminali a livello mondiale. Insieme a Sepultura, Sarcófago, Mutilator, Chakal ed una manciata di altri gruppi, che interpretavano lo stile in questione declinandolo in modo diverso, con riferimento sia alle sfumature musicali che all’approccio lirico, gli Holocausto suonavano una sorta di death/thrash particolarmente violento e cacofonico (al tempo qualcuno lo chiamava deathcore): un sound primitivo e acerbo, intensa e ferale espressione di rabbia repressa, che oggi viene considerata come una delle prime manifestazioni dell’allora nascente movimento black. Gli Holocausto combinavano questa ferocia sonora con la fascinazione ossessiva per le atrocità della guerra che caratterizzava i loro testi, rigorosamente in lingua madre, e che divenne anch’essa un marchio di fabbrica per il gruppo. Dopo la pubblicazione del full length di debutto “Campo De Extermínio” nel 1987, gli Holocausto, anche a causa dell’uscita dalla band del cantante Rodrigo Führer, modificarono drasticamente la loro proposta musicale, spaziando attraverso i lidi di un thrash decisamente più tecnico e pulito e addirittura incorporando nel proprio sound influenze industrial, con risultati non esaltanti.
Nel corso degli anni tuttavia “Campo De Extermínio” divenne sempre più un disco di culto, epitome completa dell’approccio stilistico che aveva caratterizzato la scena estrema brasiliana nella seconda metà degli anni ottanta. Gli Holocausto decidono così di tornare sulla retta via e, ricostituita la formazione originale (che, oltre al citato singer, vede Valério Exterminator alla chitarra, Anderson Guerrilheiro al basso e Armando Nuclear Soldier alla batteria), danno alle stampe l’ep “War Metal Massacre” nel 2016 e la demo “Guerra Total” nel 2018, recuperando il loro primitivo sound delle origini ed iniziando un sodalizio con la Nuclear War Now! Productions che li ha portati alla pubblicazione di questo nuovo album (in realtà il sesto della loro carriera), stupefacente per impatto, violenza e brutalità. “Diário De Guerra” avrebbe potuto essere, ed in effetti è, l’ideale continuazione di “Campo De Extermínio”; è un disco concepito e suonato esattamente come se fosse stato pubblicato in quegli anni, dei quali conserva intatti lo spirito pionieristico e il piglio grezzo e artigianale: è ovvio che ciò che allora era avanguardia oggi potrebbe essere considerato maniera, ma gli Holocausto non fanno speculazioni troppo raffinate e si limitano, per nostra fortuna, a fare quello che riesce loro meglio ed in effetti è abbastanza raro trovare un gruppo che riesca a recuperare l’energia giovanile e l’intensità delle prime registrazioni senza apparire la sbiadita e parodistica fotocopia di sé stesso. Gli Holocausto, non si sa bene come, ci riescono alla grande e ci offrono una mezz’ora di war metal d’annata spaccaossa e senza una nota fuori posto.
Canzoni brevi e furiose, caratterizzate da un riffing bilanciato tra la violenzia del thrash più viscerale e l’oscura pesantezza del death delle origini, imbastardito da massicce dosi di proto black primordiale, il tutto enfatizzato da una sezione ritmica assolutamente selvaggia e terremotante: un calderone ribollente, dove ogni pezzo si sussegue a quello successivo in un intransigente assalto all’arma bianca senza soluzione di continuità, con il ringhio dittatoriale e misantropico di Rodrigo Führer che declama efferatezze ed orrori, vomitando urla da bestia ferita. È ovvio che un disco del genere potrà essere apprezzato esclusivamente da chi ha amato ed ancora ama questo tipo di sound, che è inevitabilmente vincolato ad un certo periodo (ed in questo caso anche ad una precisa area geografica) ma che dimostra di poter essere ancora estremamente vitale e pericoloso, proprio per il suo piglio genuino e, se vogliamo, naif; per la resa sonora fieramente old school e analogica, totalmente noncurante delle nuove tecnologie di questi ultimi trent’anni; per l’assoluta devozione al caos e alla cacofonia: però sfido chiunque a restare indifferente all’ascolto di autentiche mazzate sanguinarie come la title track, l’autocelebrativa “Holocausto” o “Pelotão Da Morte”, canzoni nelle quali i nostri dimostrano anche di essere in possesso di un non trascurabile bagaglio tecnico e della capacità di scrivere pezzi solidi e ben strutturati, oltre che di saper dare sfogo alla furia più incontrollata e devastante. “Diário De Guerra” segna per gli Holocausto il definitivo, e a quanto pare irreversibile, ritorno alle radici, alle sonorità che li hanno resi celebri sulla scena underground e con le quali sono stati e saranno identificati nel corso degli anni: sotto ogni aspetto, la quintessenza del metal estremo made in Brazil. Bentornati! (… anche se mi giunge voce che probabilmente questo sarà il loro ultimo lavoro…).