Il progetto Cemetery Lights ha origine all’alba della seconda decade del secondo millennio ma soltanto l’anno scorso la band ha pubblicato del materiale ufficiale, che ha destato notevole interesse tra gli addetti ai lavori, grazie al suo sound fortemente radicato nella scena più oscura degli anni ottanta, con un retrogusto acerbo e nostalgico tra death metal, doom e black, e da allora non ha proprio intenzione di fermarsi. Due eccellenti demo tape, “Lemuralia” e “The Church On The Island”, a distanza di pochi mesi una dall’altra hanno confermato quanto di buono ci sia nelle idee di questa realtà artistica proveniente da Rodhe Island che a inizio settembre, via Nuclear War Now! Productions, pubblicherà il primo e attesissimo full length. Quale migliore occasione quindi per lasciare la parola a The Corpse, mastermind della band, e gettare un bagliore di luce sull’oscuro progetto Cemetery Lights, sulle tematiche affrontate e sulla nuovissima release “The Underworld”? Leggiamo allora quello che aveva da dirci questo sinistro ma simpatico essere della notte, che ha saputo spiegare in maniera esemplare tutto ciò che gravita attorno al Cimitero.
Cemetery Lights è un progetto che ha origini relativamente lontane, sia come concepimento che come ispirazione artistica…
Sì, il progetto Cemetery Lights è stato creato per riportare in vita la morbosità primordiale di quella che fu la prima incarnazione del black metal degli anni ’80 e dei primi anni ’90, quando questo nostro amato genere musicale non era ancora definito con chiarezza ma era semplicemente l’esasperazione dell’heavy metal e del thrash portati a un livello superiore. Il risultato finale è un suono che si affianca soprattutto alle classiche black metal band greche, ma mi vengono in mente anche i maestri Tiamat e, prima ancora, Treblinka, nonché quelle forze oscure provenienti dall’underground italiano, svizzero e ovviamente svedese. Per ricreare atmosfere che possano richiamare quelle epoche passate, la maggior parte della musica dei Cemetery Lights è stata composta tra la tarda serata e la mattina presto, nel corso di diversi anni. Ho tenuto archiviati svariati riff e tante idee, lavorando intensamente al fine di creare vere e proprie canzoni fino al sorgere del sole, giorno dopo giorno. Tuttavia non ero riuscito a mettere a fuoco il concept che volevo creare attorno ai testi fino allo scorso anno, quando un’illuminazione malsana mi ha fatto rendere conto che esplorare il rapporto dell’uomo con la morte, l’aldilà e la religione (sia quella organizzata che occulta) sarebbe stato il tema centrale dei Cemetery Lights.
Dopo le due riuscitissime demo del 2018 finalmente fai l’esordio sul mercato con il tuo primo e attesissimo full length, “The Underworld”, presentato come un lavoro ambizioso e con liriche inerenti a un concept davvero oscuro, che ti ha impegnato parecchio tempo, sia per lo studio delle tematiche che per la stesura dei testi. Puoi spiegarci quale sia il concept che sta dietro al tuo nuovo disco e come sei arrivato alla composizione di questi testi, inusuali per un’opera di questo genere?
“The Underworld” esplora i diversi regni dell’aldilà greco. Ho sempre amato la musica di molte band che come tema principale si basavano sulla mitologia greca ma non ero a conoscenza che ci fossero, in tale cultura, diversi regni dei morti. Pertanto, incuriosito dall’argomento, ho deciso di provare a portare a termine il compito da solo, studiando queste stesse tematiche in maniera più dettagliata ed approfondita! L’ispirazione lirica deriva principalmente e in gran parte da “Iliade” e “Odissea” di Omero, così come, ad esempio, da “Opere e Giorni” di Esiodo, e vari altri testi di letteratura classica. Ho cercato di rimanere fedele al materiale originale, ma mi sono pure preso un po’ di libertà creativa quando risultava necessario per rendere i testi più avvincenti. I concetti alla base dei diversi regni degli inferi greci si sono sviluppati nel tempo e sono variati leggermente nei dettagli tra i vari autori che hanno approfondito questi argomenti. Nel disco ho riportato tutto pedissequamente, canzone dopo canzone, facendo riferimento a quanto studiato, come, ad esempio, la transizione dal regno dei vivi al regno dei morti (“Erebos”), il tormento (“Tartaros”), la malinconia (“Fields Of Asphodel”), il paradiso (“Elysium”e “Isles Of The Blessed”), la corte di giudizio e il regno generale della morte (“Hades”) e il regno degli dei olimpici che divenne la dimora di alcuni mortali defunti (“Olympos”). Da quanto ho capito nei miei studi non c’è una teoria univoca sull’origine di questi nomi, in quanto gli stessi sono stati usati in modo intercambiabile in diversi periodi nel tempo. È stato un argomento molto affascinante e stimolante da approfondire anche se ha richiesto parecchio tempo per lo studio!
I Cemetery Lights sono una one man band. Tuttavia accade che i progetti solisti siano affiancati in studio da musicisti che danno una mano per qualche partitura o addirittura suonano un certo strumento per tutto il disco. Come ti sei organizzato per le registrazioni di “The Underworld”?
Partiamo con il sottolineare che tutta la musica, i testi e le performance strumentali sono state eseguite da me, ad eccezione di una voce ospite molto speciale che ha fatto delle piccole apparizioni. Tutto ciò è fatto perché preferisco mantenere il controllo sia sulla composizione che sulle prestazioni registrate col il moniker Cemetery Lights. È un progetto davvero molto personale. Per questo motivo, se dovessi commettere io degli errori in campo strumentale, compositivo o di registrazione e produzione, posso comunque perdonarmi e imparare dagli sbagli; d’altro canto non mi sarebbe così semplice se dessi la possibilità ad altre persone di comporre con me un pezzo o di suonarne uno composto da me,non so se mi spiego. Ciò che produco con la mia band voglio che sia la sua stessa eredità e voglio sostenerla da solo, sia nel bene che nel male, ovviamente.
Una one man band a tutti gli effetti quindi: questo non fa altro che dare maggior valore alle tue composizioni. Ma come hai fatto durante le date dal vivo a supporto delle tue due prime uscite discografiche? Ti sei avvalso di session men oppure di basi?
Devo ringraziare la collaborazione e la cortese assistenza di session men, nella fattispecie Tormentum, che si è occupato del basso, mentre la batteria è stata suonata da Zealot. Devo ringraziarli tantissimo per la loro presenza nelle date dal vivo, per la professionalità e per le loro capacità tecniche individuali. Detto ciò, mi piace l’idea che i Cemetery Lights abbiano un contrasto tra le registrazioni in studio e le esibizioni dal vivo, dando la possibilità ad altri artisti di aiutarmi nella dimensione live, interpretando le mie composizioni. Ho sempre pensato ai concerti come ad un’esperienza catartica e dovrebbero avere ognuno la propria identità ed energia. C’è da dire che ammiro pure tutte quelle band che ricreano fedelmente sul palco il lavoro svolto in studio ma continuo a preferire di gran lunga l’unicità della resa di ogni canzone, concerto dopo concerto, in quanto ogni data live è un’esperienza a sé stante, quindi sempre differente come spirito, attitudine e performance!
Ho notato, leggendo l’informativa del promo, che il lavoro di registrazione, produzione, mastering e mixaggio è stato tutto opera tua! Davvero una bella fatica che ti sarà costata tempo, costanza, sudore e che denota dedizione per questa tua nuova creatura. Il sound del disco è crudo e sembra sia realmente uscito dall’oltretomba. Vuoi spiegarci com’è stato il processo di registrazione e come sei riuscito ad arrivare ad un risultato finale così scarno e spartano, che ricalca il sound tipico del death metal underground di fine anni ottanta?
C’è da dire che l’album è la prima uscita di Cemetery Lights con la batteria suonata dal vivo, senza avvalermi di drum machines o simili. Ho registrato, mixato e masterizzato l’album da solo. Il processo è stato lungo e davvero faticoso, sono stati fatti numerosi tentativi al fine di ovviare errori, anche se inevitabilmente qualche imperfezione è rimasta. È stata una bella sfida bilanciare i diversi strumenti e consentire a ciascuno di respirare liberamente senza soffocarsi l’uno con l’altro. Se il mio lavoro è stato un successo o meno dipende solo ed esclusivamente dal giudizio dell’ascoltatore, anche se devo ammettere che sono abbastanza soddisfatto del risultato finale. Sento che il tutto ha una qualità eterea ed onirica che va in contrasto con la produzione devastante o affilatissima che molte band black metal utilizzano ai giorni nostri. Effettivamente la batteria è ciò che mi ha presentato le maggiori difficoltà. Non ero disposto a pompare il suono con “trigger” campionati, pertanto ho optato per un intero kit completo di classica batteria acustica. Di conseguenza, la batteria ha effettuato una vera e propria “gara” con la chitarra e il basso nel mixaggio finale, in quanto questi strumenti occupavano le stesse frequenze nella registrazione. Il modo migliore per descrivere ciò che è accaduto è immaginare diverse persone che cercano di attraversare la stessa porta contemporaneamente. Solo gli ingegneri del suono più esperti conoscono vari modi per ovviare questa tipologia di problema, ma per scelta, come dicevo prima, Cemetery Lights è un progetto molto intimo e volevo cavarmela da solo anche se, forse, non sono riuscito a mantenere lo stesso suono di chitarra e di basso che avevo deciso in origine.
Effettivamente, anche se il sound di “The Underworld” risulta coerente ed idoneo al concept che narra, è innegabile che le due demo precedenti suonassero più pulite e potenti. Ci puoi spiegare il motivo che ti ha spinto ad una scelta del genere, o si è trattato semplicemente di una sperimentazione per trovare un sound più adatto?
Vero! Il suono di qualità superiore delle prime due demo è dovuto al fatto che la batteria è stata messa in maggior risalto, consentendo di ridurre al minimo l’ausilio con il mix. Ciò ha permesso un risultato finale più cristallino e pulito, che poteva essere più facilmente percepito dall’ascoltatore, ma il compromesso è che la batteria presentava palesemente le classiche caratteristiche della drum machine, suonando eccessivamente goffa, piatta e ripetitiva. Sapevo che era giunto il momento per me di mettere questo tipo di tecnica da parte e cimentarmi io stesso dietro le pelli, consapevole delle difficoltà che avrei affrontato ma anche incuriosito da ciò che una reale batteria acustica avrebbe potuto aggiungere alla mia musica. A conti fatti, nel complesso ci sono sicuramente grossi margini di miglioramento nel modo in cui è emerso il suono dell’album, tuttavia preferisco di gran lunga il suo carattere low-fi a una mostruosità contemporanea molto raffinata. Volevo evitare questo a tutti i costi e penso di essere uscito vittorioso in questa missione. Sono certo che il sound del master definitivo creerà una coltrina di nebbie su “The Underworld”che vi avvolgeranno completamente!
Ringraziandoti per averci concesso il tuo tempo, volevo chiederti dove possiamo reperire le tue uscite discografiche e magari del merchandise, visto e considerato che gli artwork delle tue uscite sono davvero affascinanti e oscuri.
In questo momento le prime due demo sono esaurite da Nuclear War Now! Production, anche se sono fiducioso che vengano presto ristampate in formato cassetta. Il primo full length “The Underworld” invece sarà disponibile a settembre. Credo che la grande Iron Bonehead Productions riceverà delle copie, quindi i ghouls in Europa potranno ordinarlo! Tuttavia spero pure che la stessa etichetta riesca a riesumare le prime due demo tape.
A noi non resta che aspettare settembre per avere tra le nostre mani la copia fisica di “The Underworld”, che uscirà in versione cd, tape e pure lp 12”.