Barkasth – Hear My Void

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A soli dodici mesi dall’ottimo debutto “Decaying”, tornano a far parlare di sé i ragazzacci di Kharkiv, pure questa volta indiavolati come non mai e carichi di odio verso qualsiasi tipo di oracolo sacro e religioso. Effettivamente l’impresa di bissare la qualità compositiva del primo full length era cosa ardua, che richiedeva abnegazione e dedizione alla causa e, se per un attimo ho pensato che questo potesse essere un disco formato da pezzi non comparsi nel primo lavoro per esigenze discografiche (dicesi volgarmente scarti), già dopo il primo ascolto non ho potuto che redimermi e andarmi a confessare dal prete cattivo e ubriaco della chiesetta diroccata di provincia. Come sappiamo i Barkasth suonano un classico blackened death metal ma, nonostante siano di giovane età e solo al secondo platter ufficiale, lo fanno come macchine infernali ciniche, precise e devastanti. Anche le parole di presentazione del cantante e chitarrista Arkhonth sono dirette e senza mezzi termini: “rimanendo fedeli alla nostra idea antireligiosa di base come prima, nel nuovo album “Hear My Void”, abbiamo deciso di approfondire l’oscurità dell’anima umana, cercando risposte a domande che vanno oltre la comprensione umana. Alzandoci all’assoluto dell’uomo, come centro dell’universo, abbiamo scoperto l’anima e i pensieri di un uomo che ha superato il percorso spirituale, pieno di scoperte sorprendenti e terribili sofferenze che lo hanno portato ad attraversare la soglia tra il mondo materiale e l’altro mondo.

Ogni singola traccia delle sei che compongono “Hear My Void” é un esempio di brutalità mai scontata, che si unisce in un matrimonio nero a elementi oscuri, quasi dark. Un continuo mescolarsi di rabbia black, con sfuriate di blast e tremolo, che fanno da contraltare ad up tempos e riff tipici della scuola thrash/black e a momenti più cadenzati. Tanti ottimi ingredienti che i nostri ucraini, alimentati da sacro furore nei confronti della religione tradizionale, mescolano alla perfezione, inanellando sei brani devastanti, che fanno schizzare “Hear My Void” ai vertici delle uscite del genere degli ultimi mesi. Si parte, senza la pillola di una qualsiasi introduzione atmosferica, con“Funeral”, canonico pezzo d’apertura: un attacco frontale che concede solo un attimo di respiro verso la fine, come un carro armato che avanza per spianare la strada ai soldati, tra blast e scream come se non ci fosse un domani. I Barkasth vanno dritti al sodo per tutti i quaranta minuti scarsi di durata del disco e infatti anche la successiva “Take Me Back” è un pugno potente, con un attacco in blast che si evolve in ritmi più serrati e affilati, tipici di certo death/thrash, tanto che nella parte centrale ricorda, seppur vagamente, i Sepultura (quelli di “Arise”, per intenderci). “Lord Of Justice” è uno scoglio, che funge da spartiacque, una bestia ibrida, mezzo uomo e mezzo demone, che ci dà il benvenuto nella seconda metà del disco, composta da tre tracce che sfiorano la perfezione nel genere.

“Ode To Death” è un capolavoro depressivo, lento e pesante come un macigno sulla nuca, che si trascina sornione come un serpente nel deserto pronto a mordere e stritolare la sua preda. Da menzionare, in chiusura del pezzo, un assolo breve ma di un’intensità pazzesca, che non fa altro che abbellire una delle migliori canzoni del lotto. Anche se per conquistare la palma di “best song” è una battaglia dura e senza esclusione di colpi con la title track, semplicemente perfetta con il suo riff drammatico ma epico, un vortice di anime perse che vagano in cerca di una pace che mai troveranno. Assolutamente impeccabile l’alternanza tra lo scream e il growl, che dona grande dinamicità al pezzo, già scolpito dai continui cambi di tempo opera di Maleth, la cui prova dietro le pelli è precisa per tutta la durata del disco, senza risultare mai eccessiva nei virtuosismi. La chiusura è affidata alla lunga, epica e vorticosa “Ashen Sacrifice”, un mid tempo che rappresenta l’ennesimo furente inno alle forze del male. Parlare superficialmente di questo lavoro sarebbe riduttivo e fuori luogo, perché una band che solo al secondo disco (e a meno di un anno dal precedente) riesce a mettere insieme un filotto di brani di questa caratura, dimostra di avere le carte in tavola per competere con i più grossi nomi del genere. “Hear My Void” resta un disco underground ma di una qualità superiore alla maggior parte di quelli prodotti da bands più blasonate negli ultimi tempi. Un plauso va fatto anche alla produzione, che risulta di buona qualità, tanta è la potenza sprigionata e l’enfasi data ai singoli strumenti, che non si offuscano e non si coprono gli uni con gli altri, così che l’ascolto risulta piacevole e mai caotico ed é possibile apprezzare ogni passaggio. Un ulteriore passo in avanti per la band di Kharkiv, che lascia un messaggio ai propri sostenitori; probabilmente un monito per il prossimo lavoro: “dopo essere andato fino in fondo dalla prima all’ultima nota, dalla prima all’ultima parola dell’album “Hear My Void” ti immergerai ancora di più nel mondo di Barkasth, un mondo che ogni giorno si presenta con una scelta: credere in te stesso, superare il dolore e andare avanti il ​​più possibile, oppure arrenderti e dare il tuo destino alla mercé di chiunque o altro, solo per porre fine alla sofferenza. La scelta è tua…“. Amen.