Temple Of Perversion play black metal in the old vein exclusively! Questo orgoglioso proclama, che è al tempo stesso una dichiarazione di intenti e un manifesto programmatico, campeggia a lettere cubitali tra le righe di presentazione di questa nuova release, perché i nostri amici ci tengono a mettere immediatamente in chiaro le cose. Ma forse non sarebbe stato nemmeno necessario perché appena premuto il tasto play e fatta partire l’intro di questo ep, ci si rende subito conto che è effettivamente così, tanto che se non sapessimo che si tratta di un disco uscito nel 2019 potremmo facilmente confonderlo con qualche oscura reliquia di un’altrettanto oscura band attiva tra il finire degli anni ottanta ed i primissimi anni novanta, prima che il black metal made in Norway esplodesse a livello planetario, magari uno di quei dischetti che a Euronymous sarebbe tanto piaciuto distribuire con la sua Deathlike Silence Productions. I Temple Of Perversion sono un simpatico ed arrogante quintetto proveniente dalla Svizzera, che approda all’esordio ufficiale sotto l’egida della nostrana Clavis Secretorvm, dopo aver dato alle stampe l’anno scorso la demo tape “Rehearsal MMXVII”.
Ed è evidente fin dalle prime note che la vecchia scuola del black metal, quella della così detta “first wave”, è la stella polare che guida il gruppo, un’influenza che marchia a fuoco le composizioni, un veleno che scorre nelle vene di questi musicisti, cresciuti a pane e Tormentor, allattati alla sacra fonte dei primi Mayhem, perfettamente a loro agio nel brulicante marasma sonoro che si agitava in quegli anni nelle fredde terre del Nord, con una particolare predilezione per un certo black grezzo e senza fronzoli, dalle vaghe sfumature death, come quello allora suonato da gruppi come Merciless o Treblinka (prima incarnazione sonora dei Tiamat, ai quali i nostri scippano anche il logo, in modo evidente ma forse non consapevole). Ed è certo che chi apprezza ancora quel tipo di sonorità, forse inevitabilmente legato a quel periodo ma ancora pregno di un certo fascino arcano nonostante l’inesorabile trascorrere del tempo, non potrà che gradire pezzi estremamente lineari ma ficcanti come l’opener “Arrival Of The Horns” e la conclusiva e autocelebrativa “Temple Ov Perversion”, entrambi costruiti su un riffing tanto semplice quanto marcio e funesto, in grado di risvegliare emozioni familiari ma sempre piacevoli da rivivere, rievocando i bei tempi andati, con tanto di urletti speed sia nell’una che nell’altra canzone.
Altrettanto buona è “Forever Night”, più veloce e violenta, dall’incedere più furioso e classicamente bathoryano. Non sto nemmeno a parlarvi della produzione, che è assolutamente in linea con il genere proposto, e quindi sporca e abrasiva, perché il black metal così deve essere. Che dire per tirare le somme? Che “Temple Ov Perversion” è in tutto e per tutto un dischetto per nostalgici, senza voler attribuire necessariamente a questa definizione una connotazione negativa: si inserisce a buon diritto in un filone di revival che in questi ultimi anni sta dando alla luce anche prodotti decisamente interessanti, come ad esempio l’ultima fatica dei Cemetery Lights, per citare un progetto che propone sonorità non dissimili. Chi ama volgere lo sguardo al passato, magari con una lacrimuccia che solca il viso, o semplicemente chi desidera ripercorrere un sentiero già battuto, contemplando paesaggi sonori noti ma sempre morbosamente seducenti, qui avrà certamente di che soddisfarsi.