La sveglia suona la mattina alle sei dopo una serata di bagordi e il suo tuonare nella stanza silenziosa è simile a colpi di kalashnikov, tanto è poderoso nell’ambiente privo di alcun sibilo. Non importano l’hangover e le condizioni pietose, in mezz’ora devi essere pronto per affrontare il traffico della metropoli, recarti a lavoro e sorridere a chiunque incroci il tuo sguardo. Le urla imperterrite della sveglia si sono placate ma tu già inizi a volteggiare tra i postumi della sbronza serale e maledici te stesso per l’ennesimo drink di troppo, in un banale martedì sera dove, come al solito, non hai concluso nulla (oltre al fare schifo). I suoni ovattati diventano man mano sempre più acuti, le sirene delle ambulanze e della polizia, i clacson delle auto in coda, il brusio della gente sui marciapiedi si fanno lentamente sempre più forti, sino ad arrivare a essere assordante; il tempo stringe. Camicia a malapena presentabile, pantalone e cravatta stanno approssimativamente bene e servono a nascondere la tua pessima immagine, l’occhiale da sole e la giacca fanno da coronamento al kit per sembrare una persona normale. Prima tappa caffé al bar sotto casa, dove il vociare della gente che parla dei fatti propri ti penetra nel cervello e ti fa pensare che forse sarebbe meglio compiere una strage per farti arrestare e andare a riposare eternamente in una silenziosa e oscura cella, pur di stare lontano da tutto questo caos. Il fenomeno di turno, intrattenendo la bella collega, le racconta la sua scalata al vertice aziendale, e gesticolando ti schizza del caffè addosso, ma le tue esigue forze ti consentono solo di biascicare una timida imprecazione e nulla di più, e vieni quasi schernito dal pagliaccio in colletto bianco. Il nervoso aumenta, la pazienza si esaurisce, la sigaretta brucia; ti dirigi all’auto parcheggiata la notte prima in ovvia sosta vietata e ti attende una bella multa da pagare in pochi giorni per evitare un salasso ulteriore.
Seduto in auto, impregnata di odore di tabacco e chissà cos’altro, abbassi i finestrini per evitare conati di vomito, pronto ad affrontare le code di traffico e le urla strazianti degli automobilisti; ma fermi tutti: un’illuminazione. Tutto sembra fermarsi e la tua residua lucidità ti fa notare sul sedile del passeggero un cd con copertina bizzarra anni novanta al limite dell’ironico e questo ti fa ricordare che nell’impianto hi-fi c’è qualcosa di davvero adrenalinico e interessante, un toccasana per darti una vera e propria botta di energia. Magicamente partono le note di “Prelude”, ma non si tratta di una traccia di musica classica, bensì dell’intro al debut album della cult band finlandese Black Beast, che dopo quindici anni di carriera esordisce sul mercato con il suo primo full length. Se ad una persona normale questo attacco frontale di caos creerebbe scompenso e agitazione a te fa l’effetto contrario; “Black Seremony” attacca come un bulldozer impazzito e così ti fai trascinare nel gorgo nero, inserisci la prima con arroganza e speroni tutte le auto per farti strada; sei una furia. I giri del motore vanno a tempo col blast beat di Lord Sipilä, un drummer elementare quanto brutale che non conosce compromessi. I finestrini aperti fanno entrare l’aria che ti risveglia, al pari del tremolo picking di Ruumiinruhtinas e, canzone dopo canzone, massacro dopo massacro, ti sembra di volare a bordo di una Delorean, immaginando che “dove sei diretto tu non hai bisogno di strade”. Le invocazioni a Satana e Lucifero sono continue e ti consentono di avviarti sempre più velocemente alla meta finale, con la speranza di trovare un parcheggio per lasciare il tuo trabiccolo, anche se adesso questo è l’ultimo dei tuoi problemi. Grazie ai Black Beast ti senti invincibile; la band finlandese, che del sound finlandese tipico ha davvero ben poco, riesce a regalarti una carica brutale capace di farti sentire capace di tutto. Mentre la strada sembra aprirsi come le acque del Mar Rosso, i trentatré minuti di “Nocturnal Bloodlust” scorrono veloci, senza sussulti ma senza mai un calo di tensione. Raw black metal di qualità per questo power trio che non lesina rabbia e cattiveria traccia dopo traccia, tenendo il piede schiacciato sull’acceleratore in ogni singolo istante del platter.
E se tutti i pezzi si somigliano, di sicuro quelli che ti faranno dare più in escandescenze saranno “Riding On Wings Of Death”, “Your Cold Grave” e la più guitar oriented titletrack. Satanismo, blasfemia e chaos è tutto ciò che gravita attorno al mondo Black Beast e ora pure dentro la tua testa, frastornata e in completo stato confusionario. Il solito posto è occupato ma la tua foga subito dopo aver terminato l’ascolto del disco ti permette di occupare con noncuranza il parcheggio del capo mandando tutti a quel paese. L’ingresso in ufficio è trionfale, le colleghe ora sono valchirie e sexy vampire, la sala riunioni è avvolta dalle fiamme e pare di essere piombati in pieno inferno, dove tu sei l’”Unholy One”, il principe delle tenebre, e la tua miserabile scrivania è un trono nero di lava e lapilli. Tutto d’un tratto un suono fastidioso ti distrae, ti penetra nel cervello, ricorda una fottuta sveglia: “ma come, non era già suonata prima?” ti domandi spaesato e innervosito, mentre lentamente realizzi che si trattava di un mero sogno di gloria infernale. La triste realtà ti aspetta, anche se con gli occhi semi aperti metti a fuoco un’immagine, un oggetto sulla tua scrivania: il disco dei Black Beast è vero, reale e pronto a mietere vittime come nel tuo sogno appena svanito. Ora il risveglio ha un altro sapore, quello di zolfo, sangue e guerra. Buongiorno.