A poco più di un anno di distanza dalla pubblicazione del precedente full length di debutto, quel “Deception’s End” che aveva segnato il loro comeback sulle scene dopo ben tredici anni di silenzio, ecco che tornano a far sentire la loro voce i nostrani Heruka, con questo nuovo ep, che per molti versi rappresenta la continuazione e l’evoluzione del suo predecessore. La band capitanata da Adranor conferma la stessa formazione della precedente release; il che suppongo abbia consentito ai nostri di sviluppare un discorso musicale più fluido, dando ognuno il proprio contributo. Ed in effetti alcuni tratti essenziali del loro sound, come ad esempio le strutture legate ad un certo black metal furioso e improntato all’assalto frontale, tipicamente anni novanta, sono rimaste intatte e ben riconoscibili, così come alcune fughe in territori più thrasheggianti (anche in questo caso si parla di un thrash molto aggressivo e spasmodico) ed anche qualche piccolo squarcio più atmosferico che strizza l’occhio a soluzioni folkeggianti, elemento prima più presente nella musica degli Heruka e in questa occasione invece ridotto a qualche breve contorno, comunque efficace per tirare il fiato prima che l’assalto frontale riprenda con rinnovata furia. C’è anche, qua e là, qualche richiamo al death più classico e d’annata, il che non fa che aumentare esponenzialmente il livello di violenza della release. Ciò che colpisce però è soprattutto la fluidità del discorso musicale nel suo complesso, la capacità di mescolare con naturalezza questi elementi, che potrebbero sembrare così distanti l’uno dall’altro, in un insieme coerente e per nulla forzato; cosa che in passato a mio giudizio non sempre era accaduta.
I pezzi contenuti in questo lavoro sono decisamente tra i migliori scritti dai nostri (cito su tutti la title track e la devastante “Earth’s Core Tumor”): brevi, ficcanti, vanno dritti al punto e colpiscono per far male, grazie ad un riffing sempre ispirato e tagliente come lama di rasoio, ad una sezione ritmica puntuale e precisa come una macchina da guerra e ad una prestazione vocale convincente e sufficientemente espressiva, sebbene comunque legata ai canoni dello screaming-growling più tradizionale. Il tutto è reso attraverso una registrazione che resta graffiante e sporca come si conviene, ma per nulla approssimativa e con i suoni di tutti gli strumenti e della voce ben bilanciati, al contrario di quanto avvenuto invece nel recente passato. Una prova assolutamente convincente sotto il profilo musicale, alla quale si affianca un deciso cambiamento a livello lirico, con l’abbandono (non so se definitivo o solo temporaneo) del concept fantasy-mitologico che aveva caratterizzato le precedenti prove della band, e soprattutto l’ep “Leggenda” del 2005, a favore di liriche più personali, riflessive e introspettive, focalizzate sul disfacimento portato dalla morte e sul male di vivere.
In questo contesto non appare fuori posto l’adattamento del noto poemetto “Spleen” di Charles Baudelaire, tratto dal celeberrimo “Les Fleurs Du Mal” del 1857 e tradotto per l’occasione in inglese dal batterista Nemuri Shi, che rappresenta ancora oggi una delle più alte espressioni del disagio esistenziale, del tedio, del disgusto e dell’angoscia (oltre che insuperata pietra di paragone per la quasi totalità dei testi del filone depressive). In conclusione “Turning To Dust” è un lavoro convincente e in definitiva, a mio parere, il miglior disco partorito dagli Heruka fino a questo momento, oltre che un viatico decisamente incoraggiante in vista della prossima prova sulla lunga distanza. “Dalla carne vivente io divento polvere. Come rami di alberi straziati dalla tempesta, come rocce erose dall’incessante forza del mare, così si sgretola l’umano corpo”.