“Minenwerfer è il nome tedesco che designa una classe di mortai a corta gittata molto usati durante la prima guerra mondiale dall’esercito tedesco e da quello austro-ungarico. Queste armi erano state progettate per eliminare ostacoli come filo spinato e fortificazioni che l’artiglieria a lunga gittata non era in grado di colpire con la necessaria precisione”. Il combo californiano, formatosi nel 2007 a Sacramento, con “Alpenpässe” raggiunge il fatidico traguardo della terza release sulla lunga distanza, senza contare l’enorme quantità di ep e split vari messi sul mercato. Come sempre, la terza fatica discografica ricopre un ruolo di conferma o di spartiacque per quasi tutti i gruppi. Dopo aver trattato nei precedenti lavori le più svariate tematiche inerenti la grande guerra, da sempre argomento principe della band per quanto riguarda le liriche, questa volta l’attenzione si rivolge ai brutali combattimenti invernali che si svolsero all’estrema altitudine delle Alpi sul fronte italiano, tra temperature glaciali e condizioni di vita precarie. Come di consuetudine ogni singolo brano è un turbine di emozioni contrastanti che cercano di trasportare l’ascoltatore indietro nel tempo in meandri desolati e carichi di energia negativa, dove l’odore di zolfo e di morte impregnano l’aria e i polmoni. Non c’è dubbio che, oltre alla bella e oscura copertina, la prima cosa che balza agli occhi è la lunga durata del platter che contiene sei tracce per un totale di circa sessanta minuti e, da sola, l’opener può contare su una durata di diciassette minuti di divagazione metallica, che fa percepire la voglia di stupire da parte del duo californiano e di ambire a qualcosa di più rispetto a quanto fatto nelle precedenti release. “Der Blutharsch” apre quindi le danze in maniera sinistra ma al contempo eterea, facendo emergere l’anima più atmosferica della band; i primi tre minuti sono caratterizzati da suoni di chitarra effettati e da synth che lentamente si fanno sempre più spavaldi, accompagnati da voci registrate di discorsi storici del periodo per creare pathos e farci lentamente immergere nel clima e nell’atmosfera bellica di tutto il disco sino a che, al terzo minuto, la band attacca frontalmente con i suoi suoni taglienti e dilanianti. Le voci registrate e le lunghe note effettate danno spazio a scream laceranti, al blast e al tremolo picking di pura matrice black. L’atmosfera rimane sempre il focus della song che si sviluppa in maniera intricata anche se spesso risulta dispersiva per via della sua durata. Al sesto minuto subentra finalmente la parte cantata di Generalfeldmarschall Kriegshammer, singer della band, che ci torturerà la testa col suo scream acuto e poco comprensibile (come vedremo successivamente, nota dolente del disco). La song procede col suo divagare su sprazzi atmosferici assumendo connotati prettamente progressive, con un interessante stacco a metà brano che inserisce un altro campione vocale (una sorta di appello militare, dove si danno direttive ai soldati per proteggere i confini della patria) che conduce a un suono di chitarra liquida, che ha il retrogusto dei più classici Pink Floyd, grazie a un assolo melodico che trasuda tragedia, sinché i blast e gli scream tornano a farla da padroni incontrastati con tutta la loro rabbia e frustrazione. Una bella fatica arrivare sino alla fine. La seconda traccia in scaletta è forse la più brutale del disco; sia per impatto che come struttura qui si tratta di vero e proprio black metal.
Tremolo e blast fanno da cornice a un massacro che rappresenta alla perfezione il cinismo impresso nel titolo senza mai dimenticare quel piglio vagamente epico e disturbato che aleggia in tutto il platter. Concluso questo capitolo l’ascoltatore rimane stranito e confuso per l’eterogeneità delle due tracce e dei quasi venticinque minuti di musica già trascorsi e si troverà a un bivio: cestinare il disco oppure cercare di comprendere tutto il lavoro nell’insieme e proseguire il viaggio verso un’altra trincea. I suoni si fanno più cupi e oscuri e “Cloaked In Silence” ci avvolge straordinariamente con il suo riffing forsennato e ci dondola con le sue atmosfere plumbee ed eteree, per poi giungere a un eccellente cambio di tempo: ancora una volta è un guitar solo di altissimo livello e carico di melodia a spezzare l’andamento diabolico della song, facendola virare su binari celestiali. Il break però serve solo a far rifiatare il soldato e, dopo altre voci registrate, la song muta nuovamente, ancora e ancora, fino a giungere ai minuti finali, dove un eccelso riff puramente epic metal fa da apripista a un coro simile a un inno di voci pulite che inneggiano alla ricerca della gloria nella battaglia, facendoci immaginare soldati che cantano tutti insieme dandosi fiducia per la vittoria finale. È palese che il disco dopo le complesse song iniziali stia iniziando ad assumere un altro volto, quello più diretto e guerrafondaio dove si enfatizzano le atmosfere malsane degne di una battaglia a mani nude, e “Kaiserjägerlied” ne è l’esempio lampante. La song, abbellita da continui inserti sinfonici mai eccessivi, inizia con canti tedeschi che nella loro innocenza e ilarità sono permeati da inquietudine e disperazione, per lasciare spazio a riff più diretti e successivamente a cambi di tempo da brividi, dove la chitarra acustica, sempre accompagnata dallo scream, ci porta nel bel mezzo della tormenta, in una casupola di legno a malapena riscaldata. La parte che segue con le clean vocals è da applausi e mantiene il trend di crescita del disco, che finalmente sta trovando una quadra e una dimensione personale fuori dal comune. Non paghi i Minenwerfer con “Tiroler Edelweiss” tirano fuori un brano acustico che ricorda il riposo del guerriero nelle freddi notti passate tra una trincea e l’altra, mentre i racconti dei soldati trattano di speranza e del desiderio di riabbracciare i propri cari nonostante la disperazione dovuta alle impossibili condizioni di vita, con lo spettro della fine che volteggia costantemente, ora dopo ora, sopra le loro teste. “Withered Tombs” fa volgere la battaglia al termine, e lo fa nella maniera più brutale possibile, incrociando un riffing tipicamente black metal, accompagnato da fill di batteria prima intricati che poi si trasformano in vere e proprie mitragliate di blast, con spunti di vera e propria thrash metal song che ci ricorda senza mezzi termini gli Slayer o i Kreator più agguerriti e taglienti. Mentre le chitarre ricamano riff di ottantiana e insanguinata memoria, le registrazioni di un combattimento aereo e relative esplosioni concludono degnamente il disco. “Alpenpässe” a oggi è senza ombra di dubbio il miglior disco della band, sia per ispirazione che per ambizione, e riesce in gran parte a trasferire le emozioni della battaglia a chi lo ascolta. La band suona coesa e impeccabile su ogni singolo pezzo offrendo una notevole quantità di elementi, sia classici che più moderni, facendoli convivere nel miglior modo possibile.
La produzione riesce a entrare perfettamente in sintonia con l’attitudine gagliarda ma pessimistica di ogni canzone, grazie al suono scarno e volutamente low-fi, ma sempre cristallino quando si tratta di supportare le parti più atmosferiche: risulta precisa e funzionale alla resa del disco e non crea mai confusione, nonostante la quantità di registrazioni inserite nel disco e i molti suoni che spaziano tra synth e canonico black metal, divagando in territori totalmente progressivi, senza tralasciare il thrash metal più becero. D’altro canto le prime due tracce creano una sorta di intoppo iniziale e un peso nell’economia del disco, considerata la loro difficoltà di assimilazione e la loro durata complessiva; se fossero state poste in altra posizione (soprattutto la lunghissima ed estenuante “Der Blutharsch”), il giudizio sarebbe stato diverso. Un’altra nota non positiva riguarda le scream vocals troppo acute e monocordi che, se da una parte ricalcano lo stile black metal più ortodosso, dall’altra risultano piatte al limite del fastidioso: elemento tuttavia migliorabile nei prossimi dischi. In conclusione “Alpenpässe” è un disco che va assolutamente assimilato con pazienza nel tempo e ha dalla sua il pregio di poter soddisfare ascoltatori eterogenei, dai più oltranzisti ai più sofisticati che cercano le sperimentazioni e divagano nel post black così come nei meandri più progressivi.