A poco più di un anno di distanza da “From The Burning Mist”, uscito nel 2018, tornano a far sentire la loro voce infernale i nostrani Adragard, con questo “Through Funeral Shadows”, pubblicato sempre dall’etichetta polacca Perkun Records, secondo capitolo di quello che la band definisce il “trittico della morte”, iniziato appunto con il precedente disco. Gli abruzzesi Adragrad sono nati nel 1997 come progetto solista di Lord Adragard ma hanno trovato solo di recente solidità e continuità a livello di line up, con l’ingresso in pianta stabile del batterista Church Destroyer e del chitarrista Gemini, mentre il bassista NifèroN fa parte della formazione da ormai una decina di anni. La comparsa di una vera batteria (in precedenza veniva utilizzata la drum machine) ha dato profondità e spessore al sound del gruppo, che resta comunque ampiamente e saldamente ancorato alla tradizione più classica del black metal di scuola nordica, e norvegese in particolare. Per usare la definizione che i nostri danno della loro musica, quello che ci propongono gli Adragard è “pure underground old school black fucking metal”, in perfetta continuità con quanto fatto in passato e anche nel lavoro precedente, del quale questa nuova fatica rappresenta a tutti gli effetti la continuazione. “Through Funeral Shadows” non propone nulla di realmente nuovo od originale; è un disco di genere e come tale va fruito e, se rientra nei vostri gusti, apprezzato. Ciò che va sicuramente riconosciuto al gruppo italiano è però la crescita compositiva, perchè rispetto al disco precedente questa nuova fatica è senz’altro più multiforme e dinamica ed unisce varie sfumature per dare vita ad un insieme molto oscuro, spasmodico e dissonante, nel quale tuttavia non mancano squarci più atmosferici e pennellate inquiete cariche di sconforto, affiancate ovviamente alle più classiche e gelide sfuriate di puro ed incontaminato black metal di matrice squisitamente classica.
E così si passa dal delirio folk-oriented di “Eucharistic Alkaloid Visions”, che ricorda molto da vicino quella piccola e misconosciuta perla che risponde al nome di “Vinterskugge” (partorita nell’ormai lontano 1994 da Isengard, side project di un certo Fenriz), alla furia disarmonica e sulfurea di “Awaiting Total Armageddon”; dalla ferocia quasi svedese di “Father Serpent” ai gorghi scurissimi di “Toxic Demented Funeral”; dai ritmi rallentati e quasi struggenti di “Curse Hate And Damnation” alle invocazioni disperate di “Unholy Gospel”; dalle atmosfere paganeggianti di “A Miserable Winter”, nella quale la tempesta invernale è interrotta da uno spettrale stacco di chitarra acustica decisamente intimista e nostalgico, all’afflato riflessivo della conclusiva “L’Eterno Crepuscolo Della Morte”, nella quale la chitarra acustica diventa assoluta protagonista, insieme alla voce. Voce e chitarra acustica sono a mio parere i veri elementi vincenti di questa release, che non pretende di distaccarsi in alcun modo dalla più consolidata e nota lezione del black metal di estrazione nordica ma che riesce comunque a mescolare con buona maestria elementi conosciuti, in un insieme che potrà soddisfare anche i palati più esigenti, grazie alle molte e diverse influenze provenienti in egual misura dal metallo nero degli anni ottanta e degli anni novanta, che l’orecchio allenato saprà cogliere, e grazie ad alcune diversificazioni che mantengono alta la soglia di attenzione e coinvolgono emotivamente per tutta la durata, non breve, del disco. Appunto voce e chitarra acustica: la prima svaria dal più demoniaco e bestiale screaming a sprazzi in clean molto evocativi, attraversando con decisione tonalità espressive differenti, comunque sempre colme di dolore e afflizione; la seconda, frutto anche del contributo in sede compositiva di Gemini che in passato si era limitato alla sola esecuzione, è fondamentale nel dettare gli stacchi e nel conferire ai vari brani quel feeling straziante e malinconico che rappresenta la cifra essenziale del disco, pure nei passaggi più violenti ed aggressivi. Anche la produzione è da lodare: sporca ed artigianale quanto basta ma non eccessivamente confusionaria, è perfettamente in linea con il genere proposto e riesce in ogni caso a mettere in evidenza la buona prova di tutti i musicisti coinvolti. L’epilogo del viaggio è la cover di “Freezing Moon”, eseguita in maniera abbastanza fedele alla versione originale con Dead alla voce: probabilmente pletorica, in effetti non aggiunge e non toglie nulla al risultato finale ma è una dichiarazione di dedizione ad un certo modo di suonare ed un omaggio a una band senza la quale non sarebbe esistito il black metal come l’abbiamo conosciuto nel corso degli ultimi trent’anni. A conti fatti e tutto considerato, posso affermare che “Throungh Funeral Shadows” è un album convincente sotto ogni aspetto, sufficientemente maturo e vario, e sicuramente la miglior prova degli Adragard fino ad ora.