Realtà oscurissima proveniente dal Regno Unito (dal Galles per la precisione), Revenant Marquis è una one man band della quale non si sa praticamente nulla, se non che nell’arco di poco più di un paio di anni ha dato alle stampe ben tre lavori sulla lunga distanza, tutti in edizione rigorosamente limitatissima, come nella migliore tradizione underground. Si tratta precisamente di “Pitiless Black Emphasis”, pubblicato nel 2018 e dei successivi “Polterngeyst” e “Anti Universal Compassion”, editi entrambi nel corso del 2019. Questa tripletta di album ci ha presentato un progetto dedito al più sepolcrale e misantropico raw black metal, intriso di arcano misticismo e saldamente radicato nella tradizione più ortodossa del genere, sulla scia della lezione impartita dai Darkthrone dei primi fondamentali lavori, così come dalle famigerate Black Legions francesi: un black metal veloce e turbolento dunque, senza alcuna traccia di competenza tecnica e caratterizzato da una registrazione assolutamente approssimativa ed artigianale. E la recensione in realtà potrebbe anche terminare qui perchè è chiaro a chiunque mastichi questo genere da qualche tempo di quali sonorità si stia parlando, sonorità che vengono riprese senza particolari cambiamenti o evoluzioni anche in questo “Youth In Ribbons”, ultima fatica dei Revenant Marquis, pubblicata dall’etichetta lituana Inferna Profundus Records.
Se si eccettua infatti una produzione forse leggermente meno sporca e caotica rispetto al recente passato (frase da prendere assolutamente con le pinze, perché si tratta pur sempre di una produzione da cantina), questo nuovo full length non fa altro che proseguire il discorso musicale e concettuale intrapreso dalla band fin dall’esordio, con il scoperto intento di calare l’incauto ascoltatore in un vortice di terrore nero come la pece e in un incubo senza fine. Se vogliamo, l’unica novità potrebbe consistere in una maggiore insistenza sulle atmosfere cimiteriali e nebbiose che dominano incontrastate per tutta la durata del disco, la cui creazione è favorita, da un lato, da riff sfuggenti ed ipnotici e da un sound decisamente riverberato e ricco di echi (come se stessimo ascoltando all’interno di una caverna umida e buia) e, dall’altro, da un cantato che è poco più di un sibilo demoniaco e distorto, che sembra provenire da distanze siderali, o meglio il lamento straziato di un fantasma in cerca di pace, eternamente torturato in qualche dimensione parallela.
Si crea in questo modo un maelström avvolgente, a tratti perfino etereo ed intangibile, che non si abbandona mai alla violenza fine a sè stessa e nel quale a essere flagellato non è tanto il corpo quanto piuttosto lo spirito, graffiato senza posa da mille spine di follia e inquietudine. Il che avvicina decisamente la proposta dei Revenant Marquis a quella di molte realtà provenienti dalla scena raw black metal portoghese, come Vetala, Irae, Decrepitude ed altri. Emblematica in questo senso è la conclusiva “Propagator Of An Unspeakable Incestuous Coven”, canzone che sembra riassumere, nel bene e nel male, tutte le caratteristiche dell’album, del quale rappresenta la perfetta epitome. Non c’è alcuna traccia di calore umano nella musica dei Revenant Marquis, in assoluto contrasto con l’innocente bellezza della giovane raffigurata nella delicata foto d’altri tempi in copertina, che potrebbe essere la Lady Tasker di cui trattano alcuni testi: tutto è freddo e morto come una stella spentasi eoni fa che continua a vagare sperduta nello spazio interplanetario; non c’è nessuna salvezza o speranza vivificatrice, come sembrano dimostrare altre liriche, incentrate sul tema dell’efebifobia, ovvero la paura profonda ed irrazionale degli adulti nei confronti degli adolescenti.
In conclusione, è ovvio e quasi superfluo dire che ci si potrà immergere in questo abisso soffocante soltanto in un determinato stato d’animo e che questo “Youth In Ribbons” potrà piacere esclusivamente ai die hard fans di questo genere di sonorità, mentre risulterà inevitabilmente indigesto per tutti gli altri. Dategli un ascolto ma non dite che non vi avevo avvertito.