Vananidr – Damnation

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Quattordici mesi, tre full length. Anders Eriksson non ha alcuna intenzione di fermarsi e continua a forgiare nella roccia capitoli di black metal puro e incontaminato come piace a noi. “Damnation” non rappresenta solo il terzo episodio dell’avventura Vananidr ma segna una serie di novità strutturali, artistiche e compositive che possono essere riconducibili a una presa di coscienza da parte dell’instancabile mastermind norvegese. Gli ottimi riscontri dei primi due dischi della band, “Vananidr” e “Road North” hanno fatto sì che da one man band il progetto sia diventato un vero e proprio gruppo, con l’arrivo alla chitarra di Rickard Silversjö e, dopo la registrazione del disco, di un certo Fredrik Andersson alla batteria, conosciuto ai più per il suo passato negli Amon Amarth e ora nei Netherbird. Chi si aspetta un disco copia incolla pertanto rimarrà deluso, perché in “Damnation” il buon Eriksson, non certo uno sprovveduto, cerca di cambiare le carte in tavola, rimanendo comunque fedele al più classico black metal di stampo svedese, anche se appunto non privo di varie contaminazioni, che caratterizzano la musica di ambientazioni ulteriormente glaciali e tetre. Se i primi due dischi erano per lo più basati su un sound brutale e pregno di atmosfere sinistre, in questo nuovo platter è tangibile la volontà della band di tirare fuori il meglio dalla sala prove, amalgamando in sette brani dalla durata media elevata (circa sette minuti) un insieme di emozioni che raccontano la grandezza della natura e della guerra, due elementi contrastanti ma così affini tra loro, e l’ingestibilità dei fenomeni che possono essere controllati solo in parte dall’uomo, perché talmente grandi e imprevedibili da annientarlo.

Cosa cambia? Gia dall’artwork ci si rende conto che ciò che abbiamo in mano ha parvenze diverse rispetto al recente passato. Non più bianco e nero, montagne o foreste, ma un intricato disegno che raffigura una testa di caprone, un serpente e mani diaboliche con colori più vivaci del solito. Il primo singolo “Hunter”, tuttavia, ci conferma che tutto è rimasto lì: una black metal song spietata e devastante, che trasuda disperazione e rabbia, tra un cambio di tempo e l’altro; black metal e thrash, violenza efferata ma con un occhio di riguardo per una melodia triste e malinconica, che funge da fil rouge tra un pezzo e l’altro su tutto il disco. La batteria (nel disco suonata da Ljusebrig Terrorblaster) è una di quelle novità che non passano inosservate: brutale, veloce e mai scontata, cosa che avveniva leggermente meno nei precedenti due lavori. Cambi di tempo ricchi di sfumature, fill impeccabili e tanto gusto in ogni singolo arrangiamento, per non parlare di quando si tratta di schiacciare il piede sull’acceleratore, momenti nei quali il buon Terrorblaster va a nozze e lascia esplodere blast al limite delle capacità umane, come ad esempio nella bellissima opener “Distilled”, che da sola basterebbe a giustificare una recensione lusinghiera. Il songwriting è sofferto e intricato. Se si cerca il classico disco black tutto impatto allora “Damnation” non fa per voi. La genialità delle composizioni sta nel continuo cambio di tempi e atmosfere che arricchiscono le canzoni secondo dopo secondo.

Basti pensare alla title track, dove riff sinistri e glaciali danno inizio a una marcia lugubre che si trascina lentamente ai limiti del doom, per poi mutare come un camaleonte e crescere dinamicamente nei minuti finali, lasciando stupiti ad ogni fraseggio. Non è da meno il mid tempo cadenzato di “Tides Of Blood”, uno dei migliori episodi di “Damnation”, dove Eriksson fa letteralmente il diavolo a quattro con la sua espressività canora. E se “Distilled” apriva il disco con furia cieca, “Void” chiude le danze in maniera apocalittica e straziante, con tempi anche in questo caso lenti e rarefatti, a enfatizzare chitarre strazianti che in tremolo tessono melodie di disperata malinconia e linee vocali teatrali che rasentano la perfezione. Cosa rimane dei “vecchi” Vananidr? Di sicuro l’attitudine e la coerenza verso la propria proposta, che non è innovativa ma si arricchisce, uscita dopo uscita, di influenze e nuove sfaccettature. Di sicuro può lasciare perplessi la scelta di far uscire tre lp nel giro di così poco tempo ma, al netto della qualità messa in campo finora, non si può dire che non sia stata una scelta azzeccata. I Vananidr inanellano il terzo risultato utile di fila, proseguendo il loro trend di crescita qualitativa e rendendo la loro proposta più riconoscibile e meno anonima rispetto al passato, donandole maggiore personalità e carica emotiva. Anders Eriksson è un talento, si era capito, e “Damnation” è il suo migliore album finora, quello che potrebbe aprire la strada alla futura consacrazione della band. Applausi.