C’è qualcosa di marcio in Inghilterra. Chissà se Sir William Shakespeare avrebbe mai immaginato di dedicare questa frase anziché alla Danimarca alla sua amata terra natìa. C’è una fiamma nera che sta prendendo sempre più forma nel cuore del Regno Unito e sta ardendo come non mai, grazie a una schiera di band che lentamente stanno venendo fuori facendo un enorme casino. A dire il vero c’è una specifica zona, lontano da Londra, Manchester o Birmingham, dove il male si sta impossessando della scena musicale locale ed è la Cumbria, di cui Barrow rappresenta uno dei principali centri. A quanto pare Satana ha trovato una bella cittadina per trascorrere le sue vacanze lontano dalla penisola scandinava e rilassarsi di tanto in tanto, e band come Úlfarr, Nefarious Dusk, Atra Mors e gli stessi Thy Dying Light ne sono un lampante esempio. Se l’inglese normalmente dopo il lavoro va a scolarsi una pinta di birra al pub, i Thy Dying Light la birra se la bevono in sala prove, facendo letteralmente esplodere i loro strumenti; e dal ripetersi di questa prassi vede finalmente la luce il primo vero e proprio album della band, self titled, che rappresenta una manna dal cielo per il black metal albionico. L’equazione di questo genere di gruppi dà sempre il solito risultato, un black di matrice old school senza fronzoli e compromessi, oltranzista e totalmente dedito alla misantropia.
I Thy Dying Light non sono da meno e ci offrono quaranta minuti di black metal puro come la neve che si trova in Norvegia o Finlandia. Ed è proprio da queste due terre che la band prende maggiormente spunto, attraverso composizioni e metriche usate ed abusate in questi ultimi trent’anni, tra up tempos e rallentamenti più atmosferici e minimali, con l’ausilio soltanto di chitarra, basso, batteria e voce, rinnegando qualsiasi tipologia di synth o tastiera.
Ce ne rendiamo conto da subito grazie all’impatto distruttivo che la opener “Under The Horns” ci offre con una quantità di riff basilari ma sempre efficaci e sparati a velocità supersonica, senza però mai eccedere: infatti durante tutto il disco non ci imbatteremo praticamente mai in blast beats, in quanto la band predilige tempi sì veloci ma mantenendo sempre un discreto groove.
Echi dei Darkthrone più classici o dei più primordiali Mayhem fanno capolino in questo platter, che incarna lo spirito più fiero e malvagio della second wave of black metal tradizionale ma senza mai dimenticare quella macabra melodia agrodolce che, se da un lato dà maggiore “grazia” alle songs, dall’altro dona loro un’aura ancora più infame e sinistra.
Azrael e Hrafn sono dei lupi di mare ben navigati che la sanno lunga su come si suona del sano metallo estremo e, pezzo dopo pezzo, riescono a comporre un mosaico ben calibrato con un’alternanza perpetua e uniforme tra canzoni più spedite come la citata opener, “Impaler”, “The Rise Of Evil”, ad altre dannatamente lente e atmosferiche come l’evocativa “Ritual Altar” o “Temple Of Flesh”, senza mettere da parte episodi più scanzonati che ricordano, anche se vagamente, gli Impaled Nazarene più festaioli, come nel più canonico black n’roll di “Black Death”.
La voce distorta e acida insieme a una produzione generalmente ben riuscita, fredda ma potente, classico marchio di fabbrica della Purity Through Fire, riesce a dare alla prova di questo duo ulteriore credibilità, facendo sembrare questo esordio (ricordo che dal 2016 la band ha rilasciato ben cinque ep, tre demo, uno split, tre compilation e un live album!!!) un disco proveniente direttamente dagli anni novanta che fino ad oggi non avesse ancora visto la luce.
La band, grazie al suo approccio marcio e negativo, un basilare cover art in bianco e nero, face painting e qualche simbolo anticristiano, che accompagnano una serie di killer song semplici ma dannatamente efficaci, è riuscita nel suo intento di creare nel 2020 un disco dai connotati vintage che potrebbe essere collocato senza troppi indugi nel 1995. Di sicuro chi cerca sonorità più ricercate ed elaborate deve stare alla larga da questo lavoro, che suona semplice e a suo modo genuino ed è diretto per lo più a coloro che ancora cercano nella musica impatto, svago e tanta adrenalina, cosa che i Thy Dying Light, grazie alla loro proposta old school, riescono a regalare in ogni singolo istante.