Nati nel 2002 per volere di Alal’Xhaasztur e Xul’Szaghulhaza (entrambi membri di Hellvetron e Nexul) e una quindicina di anni fa al centro di polemiche per la loro partecipazione alla compilation “Satanic Skinhead: Declaration Of Anti-Semitic Terror”, i texani Nyogthaeblisz hanno definitivamente abbandonato qualsiasi riferimento anche solo velatamente politico e si sono concentrati esclusivamente su tematiche di stampo filosofico-religioso, ovviamente in chiave satanica. I nostri sono ora un trio e giungono all’agognato debutto sulla lunga distanza, a ben diciassette anni dalla loro formazione e dopo la consueta trafila di uscite minori, con questo “Abrahamic Godhead Besieged By Adversarial Usurpation”, grazie all’attivissima Hells Headbangers Records, etichetta sempre attenta nello scovare realtà interessanti nei più nascosti recessi dell’underground internazionale. Non è semplice approcciarsi alla proposta musicale e concettuale di questa band, che fa della creazione del caos il suo principale obiettivo: una proposta criptica e selvaggia, che si sostanzia in un cerimoniale esoterico e rumoroso, un delirio satanico incessante e decisamente cacofonico. Non si può nemmeno affermare che i Nyogthaeblisz suonino death/black metal o war black metal come agli esordi, quando erano più facilmente accostabili a gruppi come Conqueror, Revenge e simili: infatti hanno incorporato nel loro sound altre influenze, elettroniche e noise, che rendono la loro musica attuale estremamente disturbante e inqualificabile, molto difficile da digerire anche per chi è avvezzo a ogni genere di nefandezza sonora.
Il caos regna sovrano e tutto è molto indistinto e indecifrabile. Le chitarre e il basso si fanno strada a fatica tra colate di rumori elettronici ed interferenze radiofoniche, rimbombi di vario genere e basse frequenze. Lo screaming è super effettato e la voce declama strane evocazioni demoniache e feroci invettive antireligiose con il timbro di un cronista che trasmette da un altro pianeta o da un’altra dimensione. Non vi è alcun appiglio alla classica forma canzone: nessun ritornello, nessuna strofa, neppure un riff che possa dirsi effettivamente tale: solo un vortice continuo di fervore magico-ritualistico, iper-velocità e ultra-violenza senza posa.
I pezzi si concludono all’improvviso, come se qualcuno staccasse di colpo la spina, e al termine di ogni canzone resta un rumore elettrico di fondo che non fa altro che aumentare il disagio e il senso di disorientamento che i nostri spietati ed isterici guerrieri noise intendono ingenerare nell’incauto ascoltatore. È evidente che siamo di fronte ad un lavoro sperimentale, a suo modo ipnotico, intenso e sicuramente originale che, da un lato, esalta il concetto di estremo in musica privando chi ascolta il disco di qualsiasi punto di riferimento ma, dall’altro, esaurisce ben presto la propria carica dirompente, traducendosi con il passare dei minuti, e quasi inevitabilmente, in una ripetizione fine a sé stessa, che finisce per essere francamente snervante.
Il coraggio di voler rompere gli schemi va premiato ma non si può neppure tacere il fatto che le canzoni, se così possiamo chiamarle, finiscono con l’essere tutte identiche, in un tumulto sonoro e rumoristico che alla lunga porta l’ascoltatore a domandarsi: perché questa tortura? E la risposta è molto semplice: per la gloria di Lucifero, naturalmente. “…their utopian ethics and slave moralities forever blotted out and their mundane cabala irrevocably culled by the Acausal predator – SATAN”. Per qualcuno potrebbe essere solo merda; per altri addirittura un capolavoro avanguardistico: personalmente, come ho cercato di spiegare, ritengo che la verità stia nel mezzo.