Sì, effettivamente il moniker della band non lascia presagire sonorità morbide o quantomeno moderate, infatti ci troviamo davanti a un giovane combo tedesco che ha in testa solo ed esclusivamente di fare un gran casino, bere birra e organizzare meeting per pianificare la conquista del mondo. Escludendo l’ultima, eccessiva ambizione, tutto quadra; se poi aggiungiamo: imbracciare strumenti e suonarli con capacità ridotte e odio smodato nei confronti dell’umanità, il gioco è fatto. In precedenza noti come Slaughtered Existence, moniker con cui registrarono un disco nel 2015, l’anno seguente i nostri decisero di cambiare nome in Goatfuck, penalizzando la fantasia ma di sicuro migliorando la percezione su quello che la band ha da proporre: thrash metal primordiale con venature black metal e contorni che spaziano dall’hardcore al death metal è l’arma di distruzione di massa che questi ragazzi vogliono usare per conquistare il pianeta terra. Un concentrato di odio preistorico e tribale che si sussegue per quaranta minuti acerbi e grezzi, tra un riff sparato a 200 km/h e sfuriate di blast, sempre accompagnati dalla tenera ugola di Necrologue, che assomiglia alla voce di un ottantenne che fuma dall’età di dodici anni e si è vissuto vari conflitti mondiali, nucleari, guerre civili e chi più ne ha più ne metta. “Y” è un concentrato di anticristianità becera ed elementare che spesso rischia di naufragare in acque demenziali, cosa abbastanza comune a band che si cimentano in sonorità così espressamente vintage e basilari. Tuttavia in alcuni casi nascono dischi distruttivi che sono un piacere da ascoltare, grazie al connubio che unisce nostalgia uditiva e visiva, generato da sonorità old school e copertine orripilanti che ci trascinano indietro nel tempo sino alla fine degli anni ottanta.
Ai Goatfuck questa operazione nostalgia è riuscita in piccola parte in quanto, se da un lato è assolutamente rispettabile la voglia di divertirsi, dall’altro il disco non riesce a dare sussulti, a creare climax o, più semplicemente, a uscire dall’anonimato di un genere che risulta essere più che mai inflazionato. In una tracklist composta da dieci song con una durata media abbastanza elevata per la proposta (quattro minuti e mezzo ogni singola traccia), sono davvero pochi i momenti che spiccano e riescono a rimanere impressi, per un riff riuscito o una linea melodica che si possa definire sufficiente. Di sicuro una song come “Suicide Note”, con un bel riff centrale di classe hard n’heavy, che ha quel flavour “acceptiano”, ha un sicuro impatto frontale ed emotivo. Così come le prime due tracce del platter: “Ritual Mass Suicide”, una bordata che negli stop n’go ricorda i seminali Motörhead, con quel suono distorto e graffiante, o la heavy “Aboard Terror” che si distingue per un bel giro di chitarra e un andamento più marziale e ragionato, puntando maggiormente sul groove più che sul classico tiro a segno di blast. Pure in “Advocatus Diaboli” si apprezza la volontà della band di disinserire il pilota automatico e utilizzare soluzioni differenti dai classici tremolo/blast beat/screams, grazie a tempi cadenzati e un adattamento lirico più ispirato e teatrale con bei riff di scuola thrash.
Da questo punto sino al termine del disco, con qualche buona idea nella conclusiva “Drink With Me!” (ma senza successo), i ragazzacci di Leipzig non riescono ad alzare l’asticella, trascinando un lavoro che non riesce mai a decollare e in cui, oltre agli episodi citati, la banalità regna sovrana. Accompagnato da un layout oscuro, che ben poco si sposa con la proposta prettamente ottantiana della band, complice una produzione piatta e priva di dinamica, “Y” segna un nuovo inizio del quale la band deve fare enorme tesoro per non ricommettere gli stessi errori, se così si possono definire. Ma inevitabilmente non possiamo che definire questo platter poco più di un passo falso. Il rammarico può essere parzialmente attenuato dal fatto che, se questo lavoro fosse uscito in formato ep e avesse avuto una durata di circa venticinque minuti, avrebbe assunto tutte altre sembianze.