Nati nel lontano1992, anno in cui pubblicarono la demo “Hellfire”, i tedeschi Baxaxaxa sono entrati in un lunghissimo periodo di inattività per riformarsi soltanto nel 2017, in occasione del Destroying Texas Fest e di un concerto nella nativa Germania. Oggi il progetto sembra definitivamente tornato sulle scene ed infatti dà alle stampe, grazie alla sempre attivissima Iron Bonehead Productions, questa nuova demo, che fin dal titolo, “The Old Evil”, ci fa capire che il gruppo bavarese non intende minimamente spostarsi da quello spazio a cavallo tra vecchio thrash/speed e black metal della prima ondata nel quale si è mosso al suo esordio, mantenendo al contempo intatta la propria attitudine e la propria immagine anticristiana. La band condivide diversi membri con l’attuale formazione degli Ungod (ensemble storico del panorama underground teutonico ed autore di un paio di dischi seminali come “Circle Of The Seven Infernal Pacts” e “Conquering What Once Was Ours”), tra cui il batterista Condemptor, fondatore di entrambi i progetti: non abbiamo quindi a che fare con dei ragazzini alle prime armi ma con musicisti che sanno il fatto loro. Con gli Ungod i Baxaxaxa condividono anche un approccio scarno, lineare e decisamente crudo alla materia black, scevro da ogni tecnicismo compositivo ed esecutivo e caratterizzato da una produzione essenziale (qualcuno potrebbe dire scadente), che in questo caso specifico risulta assolutamente consona rispetto alla proposta musicale.
Come detto i Baxaxaxa sono orgogliosamente ancorati alla vecchia scuola e il loro sound trae sicuramente ispirazione da gruppi come Venom, Hellhammer e simili ma i nostri guardano anche al metal estremo ottantiano inteso in senso lato, lasciandosi contaminare spesso e volentieri da influenze più classiche: quello che ne esce fuori è una sorta di retro-black metal suonato con cognizione di causa e grandissima personalità. Sotto questo profilo rivestono un ruolo fondamentale, da un lato, l’uso delle tastiere e, dall’altro, un cantato non esattamente canonico: elementi determinanti nella riuscita finale, che consentono di distinguere la proposta dei Baxaxaxa da quella di molte altre realtà dedite a sonorità dello stesso tipo. I synth, ad opera di Antitron Desecratum W2J1L8, caratterizzati da un suono molto spesso simile a quello di un organo malevolo, non rubano mai la scena per troppo tempo ma sono perfetti per sottolineare alcuni passaggi con atmosfere cimiteriali e funeree e per conferire al tutto un tocco medievale morbosamente accattivante. La voce di “Traumatic” Patrick Kremer (che poi è il proprietario della stessa Iron Bonehead Productions) non è il classico screaming: si tratta piuttosto di un rantolo “pulito” ma al tempo stesso assolutamente sgraziato, stonato, fuori metrica e pieno di echi, che sembra declamare di continuo litanie magiche e potrà forse infastidire qualcuno ma a mio giudizio costituisce un enorme valore aggiunto per il disco, contribuendo in maniera decisiva a dare corpo a quell’atmosfera da rituale occulto che rappresenta un po’ la cifra essenziale di questo lavoro.
In ogni caso non vi leverete dalla testa per qualche tempo i suoi ululati da posseduto, mentre ripete come un mantra maligno “the ooooooold iiiiiiiiiiivol”. D’altro canto il riffing non indulge mai in soluzioni elaborate e si mantiene sempre estremamente asciutto e graffiante, con la chitarra che tesse trame basilari, primitive e accattivanti, a volte ai limiti del doom (in alcuni momenti mi hanno ricordato gli ultimi Darkthrone), senza mai sconfinare nei territori più caotici ed ossessivi di certo black metal della così detta seconda ondata e mantenendo i piedi sempre ben piantati negli anni ottanta. Così come le strutture dei pezzi che restano piuttosto lineari e saldamente ancorate alla classica forma canzone, come si conviene del resto ad una proposta che si tiene molto lontana da ogni sorta di sperimentalismo. I brani sono tutti molto belli e sarebbe davvero inutile citarne uno a discapito di un altro. Tutto il disco si mantiene su buoni livelli qualitativi, pur restando un prodotto assolutamente ed intimamente underground. In conclusione “The Old Evil” è un lavoro solidissimo, granitico come le mura di un castello posto a difesa del sacro verbo del metallo nero, e sulfureo come i miasmi provenienti dai più reconditi angoli dell’inferno. Se amate le sonorità più vecchia scuola, che in questi ultimi anni stanno acquisendo nuova linfa vitale, qui troverete sicuramente pane per i vostri denti marci. The cult is alive!