Ci eravamo già occupati su queste pagine virtuali del progetto Ars Manifestia, attivo dall’ormai lontano 1999, in occasione della pubblicazione del full length di debutto “The Enchanting Dark’s Arrival” del 2007. Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata davvero tanta ed il solo project dietro al quale si cela Harmful (italiano che vive ad Oslo) ha dato alle stampe altri due album, e precisamente “The Red Behind” e “Le Lacrime Dell’Universo”, rispettivamente nel 2009 e nel 2012. Ed ora, dopo una pausa di ben sette anni, è la volta della quarta fatica sulla lunga distanza, questo “Divora I Figli” dalla copertina decisamente macabra e cimiteriale, che ha visto la luce sul finire dello scorso anno grazie all’etichetta spagnola Darkness Within e ci presenta tre brani assai lunghi ed articolati per oltre un’ora di durata complessiva, sostanzialmente nel segno della continuità con le precedenti uscite del progetto. Appare evidente fin da subito quindi che ci troviamo di fronte ad un lavoro di non immediata assimilazione e caratterizzato da numerosi cambi di tempo ed atmosfera nel suo insieme e all’interno delle stesse canzoni; un lavoro che quindi necessita di svariate fruizioni per essere fatto proprio. È un caleidoscopio di sentimenti e di emozioni in salsa black quello che ne viene fuori, caratterizzato peraltro da una registrazione ben equilibrata che però mantiene assolutamente intatto lo spirito underground della proposta.
Si passa da momenti suggestivi, misteriosi ed evocativi ad improvvisi sussulti di violenza assassina; da passaggi caratterizzati da un incedere più cadenzato e granitico a distruttive bordate di blast beats; da un riffing ai limiti del depressive, che veicola amare introspezioni cariche di disperazione, alla furia iconoclasta tipica del black metal di matrice nordica, che resta sempre e comunque la stella polare della musica di Ars Manifestia: i pezzi sono costruiti su queste continue alternanze e si rivelano abbastanza vari, benchè vi siano (forse inevitabilmente, considerata la lunghezza della release) alcuni momenti di stanca e si proceda attraverso un cumulo continuo ed insistito di situazioni ed impressioni musicali più che attraverso un vero e proprio sviluppo delle canzoni (in sostanza ho avuto l’impressione che, a tratti, mancasse un po’ di fluidità, non so se rendo l’idea).
Quindi quando i diversi “momenti” che compongono il brano sono ispirati e si susseguono con naturalezza, ecco che l’intera canzone risulta avere una resa finale decisamente migliore: è il caso della title track e della conclusiva “Rose In Me”, che soprattutto nella loro metà iniziale sono davvero ottime e riescono ad avvincere l’attenzione dell’ascoltatore coinvolgendolo completamente, diventando invece più dispersive nel prosieguo. Ed è probabilmente questa eccessiva tendenza alla dispersione il maggior difetto di una release che resta comunque ricca di idee e di spunti interessanti, legata in ogni caso ad una concezione tradizionale e caratterizzata da un sound quadrato, che non disdegna affatto la creazione di atmosfere e spazia da Burzum ai Setherial (specie quelli di “Nord…”), passando per gli Emperor. Ascolto consigliato.