A metà anni novanta in Italia, seguendo le orme del più accattivante e mistico Nord Europa, la scena metal, nella fattispecie power e black, ebbe uno dei suoi momenti migliori. Decine di band proliferavano in tutto lo stivale, isole incluse, regalando ai metalhead per svariati anni dischi di culto che tuttora vengono riconosciuti come vere e proprie pietre miliari. E se in campo estremo i gruppi si sprecavano (basti pensare a Necromass, Sadist, Opera IX, Evol, Mortuary Drape o, ancora più di nicchia, Inchiuvatu e Calvary), nel metal più classico c’era l’imbarazzo della scelta (Domine, Mesmerize, Heimdall, Thy Majesty, Centvrion, senza scomodare gli ensemble più importanti). Quando è arrivato in redazione qualche settimana fa il debutto dei Nero Or The Fall Of Rome “Beneath The Swaying Fronds Of Elysian Fields”, la copertina mi ha ricordato il debut album dei marchigiani Centvrion “Arise Of The Empire”, e mi sono domandato quale sarebbe stata la proposta della band. Mi spiace dire che la scena metal italiana negli ultimi tempi è solo una flebile fiammella rispetto a quello che fu nei mitici anni novanta ma posso affermare senza ombra di dubbio di avere a che fare con una delle band più originali che il mercato estremo nostrano ha tirato fuori da tempo a questa parte, grazie alla proposta a cavallo tra un epic metal di matrice ottantiana, armonizzato da riverberi doom e riflessioni black; il tutto ricamato in una cornice elegante e ambiziosa. L’immagine riflessa allo specchio dei due mastermind del progetto, Federico ed Elia, che gentilmente ci hanno raggiunto per una piacevole e bizzarra chiacchierata che va oltre una mera intervista, raccontandoci storie come menestrelli di altri tempi, partendo dalla genesi del progetto per condurci verso vicende storiche ed escursioni in montagna, spiegandoci il loro disprezzo verso un music business dai suoni artificiali che gli amanti delle sonorità più grezze non hanno mai sopportato.
Era la notte del 18 luglio del 64 dC…
Federico: È proprio da quella fatidica notte che ebbe inizio la persecuzione cristiana che cambiò la storia di Roma per sempre, portando pagani e cristiani al primo scontro socio-religioso. Una notte memorabile per Roma e tutta la storia, considerando le molteplici implicazioni e conseguenze.
Scusa se mi permetto ma, se ci dovessimo attenere alle scritture, non potremmo essere così certi che sia stato realmente Nerone a commissionare questo incendio. Come mai ancora oggi dobbiamo imputare tutte le colpe a questo “poveraccio” che, di fatto, si è costruito una bella fama su questo nefasto evento?
Federico: Quello che dici è vero, gli storici sono ancora discordi sull’argomento e di recente la figura del despota sembra essere stata in qualche modo riabilitata. Ma ai Nero piace pensarla ancora in questo modo e sappiamo anche grazie agli scritti di Seneca di cosa fosse capace questo tiranno, al di là della sua implicazione nell’incendio. Quello che è certo è che, come ultimo discendente della Gens Iulia, la sua figura è rimasta scolpita nella storia al pari di quella di Giulio Cesare.
Se gli storici sono discordi su Nerone noi non lo saremo sull’argomento della nostra chiaccherata, i Nero Or The Fall Of Rome. Intanto benvenuti sulle pagine virtuali di blackmetalistkrieg… se la storia di duemila anni fa è velata di incertezza non può esserlo quella di circa due anni fa, quando il gruppo è stato fondato…
Elia: I Nero Or The Fall Of Rome si sono formati dai ben più noti Riul Doamnei, attivi già dal 1999. I membri sono gli stessi, con Federico alla voce, Fabrizio al basso, Elia alla chitarra e Luca alla batteria. Fin da subito l’intento era quello di proporre un metal vecchio stampo, che non assecondasse le idee proposte dal mainstream. Abbiamo fin da subito optato per delle scelte personali al fine di soddisfare i nostri standard e la nostra idea di musica, facendoci influenzare soprattutto da band come Bathory e Darkthrone. Il primo anno della band è stato caratterizzato da svariate difficoltà personali che si sono riflesse sulla band stessa, pertanto quest’album è stato il nostro sfogo e la nostra vittoria. Per noi queste otto tracce rappresentano esattamente quello che volevamo proporre senza scendere a compromessi con il “black” moderno e mainstream.
Federico: Aggiungo che è stato un grande sfogo, la libertà di non dover scendere a compromessi con niente e nessuno è impareggiabile. Questo ha portato ad ottimi risultati in tempi piuttosto brevi. A posteriori possiamo dire di aver scritto un album in tempi record, trovando un’ottima etichetta e pubblicandolo piuttosto velocemente.
Tu mi dici Bathory e Darkthrone, io dico Joy Division, Manilla Road, Slough Feg! Tuttavia sento pure chitarre alla The Cure. Devo smettere di prendere droghe? L’utilizzo di suoni più morbidi e analogici, quasi di altre epoche, mette in risalto una produzione vocals e guitar oriented, una scelta contro tendenza voluta o venuta del tutto naturale?
Elia: Qui la differenza sta proprio tra l’autore e l’ascoltatore: le nostre scelte compositive hanno avuto origine da quei concetti, quindi per noi risulta difficile distaccarcene. Per l’ascoltatore è diverso: sentendo il prodotto finito ha l’imparzialità di poter recepire anche influenze per noi inaspettate. Sentire Manilla Road per noi è un grande complimento e ti ringrazio!
Federico: Il disco è effettivamente più orientato verso il costante lavoro delle chitarre ma gli arrangiamenti sono parte fondamentale di una canzone, essendo soliti lavorare tutti assieme e mettendoci al servizio della canzone. Il sound che tu definisci morbido è ruvido allo stesso tempo, in quanto non gode di nessun plug-in o qualsivoglia stronzata aggiunta in post produzione. Abbiamo scelto un suono vero, vintage, in quanto è quello che volevamo esattamente sin dall’inizio, considerato che siamo fedeli alla linea del “no compromise”. La direzione di questo album è la direzione che abbiamo sentito di dover seguire, senza doverne nemmeno stare a discuterne tra di noi, ed è qui che giace la bellezza di questo progetto. Istinto e sentimento, no bullshit.
Elia: Non solo, quello che si sente sull’album è tutto ciò che proporremmo anche live. Niente di più, niente di meno. La nostra sincerità musicale non si è fermata alla composizione ma è giunta anche ai suoni e alla strumentazione usata: non abbiamo fatto uso di artifici che non avrebbero avuto alcun riscontro con la realtà. Più che VIVERE di suoni pompati, questo mainstream ci sta MORENDO, sta rendendo pop tutto quello che si è creato negli anni d’oro del metal. Noi abbiamo sottoposto musica e sound a quello che la nostra situazione ci offriva. Quello che si sente sul nostro album è frutto della nostra vena compositiva e della nostra rabbia nei confronti di quello che oggi passa per metal. In quest’album abbiamo inserito sia atmosfera che riff: quest’ultima cosa sembra ormai fuori moda quando una volta era tutto, soprattutto nel black metal. Posso riassumere la mia idea dicendo che ormai ci troviamo ad avere tanto black, ma poco metal.
Musica underground d’altri tempi, che esce oggi nel 2020, quando la moda del trigger impazza. Una scelta che fa onore ed è totalmente rispettabile. Gli otto capitoli del platter sono un’iniezione di groove, dove l’ispirazione fa capolino in più frangenti. Cosa volete narrare in queste tracce? In quanto il disco che abbiamo tra le mani non è prettamente un concept, ma una vera e propria dichiarazione di intenti…
Elia: Ogni singola traccia rappresenta qualcosa a sé stante: abbiamo i riff catchy di “Cold Bones”, l’atmosfera della title track, o una combinazione di queste cose nella traccia di chiusura. Il tutto passando attraverso blast prepotenti e riff di tempi migliori; abbiamo il calore delle parti lente e pulite in contrasto a riff taglienti e diretti.
Federico: Il trigger è la morte del metal. Dove sono le dinamiche? Dov’è finita la componente dannatamente umana che contraddistingue la musica metal? L’energia che ti travolge durante un live, il batterista che pesta come un cane su quel maledetto pedale? Bassdrum, non una fottuta macchina da scrivere. Confermo che non c’è un concept dietro l’album a mai ci sarà, in quanto le cose studiate a tavolino non rientrano nello spirito di questo progetto. Di solito quando mi accingo a scrivere un testo mi faccio influenzare dalle sensazioni date dalla musica, dall’atmosfera e, come hai esattamente sottolineato nella tua recensione, pur essendoci un’unità di suono, un filo conduttore, le canzoni sono diverse tra loro, essendo frutto di qualcosa di spontaneo. Dalla pazzia di Nerone alle notti insonni che mi portano a riflettere sulla natura dell’uomo. Per farti un esempio, potrei dirti che “Cold Bones” ci riporta invece all’argomento del “diverso”, che ci porta a prendere le distanze da una società conformista e standardizzata. E ognuno di noi, a modo suo, è diverso. Si sente solo e abbandonato nella propria peculiarità, al punto da sentire freddo dentro.
Incertezza del domani e prendere le distanze… due argomenti assolutamente attuali vista l’epidemia in corso. Come state vivendo questa situazione?
Federico: Personalmente la mia vita non è cambiata, probabilmente perché sono un fottuto asociale e il mio lavoro lo svolgo da casa già da qualche anno. Quello che mi manca è il poter suonare assieme, poter sfogare la frustrazione di ogni giorno anche solo facendo le prove nel nostro piccolo angolo fuori dal mondo. Parlare di musica fino a tardi, di questa o quell’altra band che ci ha entusiasmato, delle vecchie glorie che non tramontano mai. E mi manca andare sulle montagne, passare le notti davanti a un fuoco lontano dal fottuto ronzio della vita moderna. Siamo soliti immergerci nella natura, scalare montagne, tornare per qualche ora alla vita primordiale che ha contraddistinto la storia dell’uomo fin dagli inizi. Spezzare rami, accendere un fuoco, sporcarci e ferirci le mani.
Essere umani, essere animali, ossia quello che in realtà siamo… Nonostante i Nero abbiano un forte orientamento retrò il mercato con il quale devono confrontarsi è quello del 2020. Come vedete la scena underground italiana in questo preciso momento storico rispetto al 1995 quando il black metal esplodeva in tutta la sua nera magnificenza, soprattutto in Europa?
Elia: Il metal underground soffre come non mai anche se tutto ciò ha dei vantaggi: il mercato dei Nero è esclusivamente di nicchia, fatto di proposte che una persona cerca, vuole conoscere, affezionandosi a ciò che scopre. La sofferenza economica è dovuta al fatto che la musica moderna si basa su instagram, facebook e streaming gratuiti. Tutto quello che interessa dell’artista è il suo lato personale e non musicale. Ma anche di questo ce ne sbattiamo. Noi abbiamo la nostra proposta e la pubblicizziamo con gli stessi mezzi, ma non scenderemo mai a patti con quello che il mercato prevede ora e domani. Questo si riflette nella musica che basa tutto sui follower in più su instagram, pensando che facciano la differenza per il futuro. Noi abbiamo fatto un album di cui siamo fieri e che speriamo faccia la differenza nella giornata di merda che può avere una persona che affronta la vita come noi. Lasciamo volentieri la fama a quei gruppi con tante belle idee e poca voglia di fare che dopo due concerti (se son tanti) mandano in merda tutto quanto. Il metal non è per tutti. Oggi nella musica conta la fama, e non il valore intrinseco della musica stessa.
A proposito di concerti, come pensate di portare live lo spettacolo dei Nero… avete già delle idee?
Federico: Abbiamo già portato i Nero live molte volte, pur non avendo un album promosso e non avendo minimamente un nome. La nostra idea è quella di portare on stage ciò che sappiamo fare, senza fronzoli o altri espedienti per racimolare consensi. In fondo la produzione dell’album e il concetto che si pone dietro alla nostra musica è già “live” di per sé. Quell’imperfezione, quella libertà di interpretazione del brano, quella licenza che esce fuori ancor meglio durante una performance live… non siamo una band che prepara uno “spettacolo” ragionato al millimetro ma ci facciamo guidare dalle sensazioni del momento.
Elia: Un appunto preciso sulla scena live odierna è che le band emergenti si trovano a dover combattere con gruppi che basano la loro “fama” su un qualche album sconosciuto prodotto per un caso della sorte negli anni ottanta, come se questo portasse un qualche valore aggiunto alla cosa. Tra le band più moderne invece quello che manca è la disciplina all’interno dei gruppi: tutti vogliono emergere, dimostrare cosa sanno fare e qual è l’ultimo pezzo di strumentazione che hanno comprato. I Nero si collocano al di fuori si tutto questo.
A chi vorreste aprire un tour dei vostri sogni?
Federico: Domanda molto difficile, per quanto mi riguarda con l’altra band abbiamo già supportato mostri sacri di ogni genere come Primordial, Kreator, Behemoth, Rotting Christ, Vader, Incantation e tanti altri. Per quanto riguarda i Nero è difficile sparare dei nomi in quanto le band che vorremmo supportare sono morte da tempo o semplicemente non suonano live, mentre sotto altri punti di vista ti potrei dire che, nonostante le tantissime date di supporto ai Rotting Christ, sarà sempre un piacere tornare a incontrarli. Forse più a livello umano che musicale. Ovviamente i Candlemass tuttavia rimangono in cima alle mie preferenze affettive! Di sicuro Elia risponderebbe per i Repulsion!
Da pochi giorni avete pubblicato il nuovo singolo “Graves Above”, accompagnato da un bel video che rappresenta una delle vostre più grandi passioni, la montagna. In controtendenza rispetto alla copertina del disco dove prevale il fuoco, nel video il protagonista è il ghiaccio…
Federico: Premetto che la canzone di cui parli è dedicata a Daniele Nardi e Tom Ballard, due scalatori professionisti che hanno perso la vita circa un anno fa in Himalaya, più precisamente sul Nanga Parbat, cercando di aprire una via attraverso lo sperone Mummery, una via tentata solo dal pioniere Albert Frederick Mummery nel 1895. Ho vissuto quella storia in diretta, seguendo gli aggiornamenti sui soccorsi, purtroppo inutili. Non nascondo che mi ha ossessionato, se non tormentato, per lungo tempo. Dopo l’uscita del singolo ho avuto il piacere di essere contattato da persone vicine allo stesso Nardi e da sua moglie, che ci ha ringraziato per aver tributato alla memoria del marito. Inutile dire che sono queste le sensazioni di cui vivono i Nero, nessun riconoscimento discografico può essere minimamente comparabile ad arrivare al cuore degli stessi protagonisti della storia.
Voi siete amanti della montagna e la frequentate assiduamente… Ci raccontate qualche simpatico episodio che vi è accaduto in una delle vostre escursioni alla ricerca della pace interiore?
Federico: Nel nostro piccolo ci siamo cimentati più di una volta in qualche ascesa trovandoci noi stessi protagonisti di avventure sia pericolose che simpatiche. Una volta pazzesca è stato quando ci siamo persi sul Monte Serva, prendendo una via dimenticata da decenni, un sentiero perduto da anni, oppure semplici escursioni sulle colline intorno alle zone in cui viviamo. Memorabile fu una notte che addirittura sono finito in cella. Sulla strada del ritorno, a pochi metri da casa, ho trovato ben quattro pattuglie ad aspettarmi. Otto agenti di polizia a trattenermi per possesso di “coltello fuori misura”. Mi hanno portato dentro senza possibilità di replica. Ancora stiamo ridendo e scherzando sull’accaduto…
Per chiudere. Il motivo per il quale un ascoltatore di metallo estremo dovrebbe comprare il vostro disco, visto le varie sfaccettature che ha, che potrebbero essere difficilmente digeribili a un oltranzista?
Elia: “Beneath The Swaying Fronds Of Elysian Fields” è per chi non ha smesso di ascoltare metal sincero e senza fronzoli. Se quello che cercate è l’ultima moda, stateci lontani. Our metal is OLD. We are the Underground Resistance. Grazie per l’intervista a te Mat e a tutta BMIK.
Federico: È stato un piacere per noi rispondere alle tue domande. È stata la nostra prima intervista ufficiale! Ne siamo lieti e onorati. Black Metal IST Krieg!!!