Ande è l’incarnazione del vero spirito underground, non solo per il fatto che si tratta di una one man band che suona metal estremo ma proprio per la concezione con la quale nasce, ossia un modo strettamente personale per l’artista, al secolo Jim Christiaens, di esprimere le sue sensazioni e stati d’animo e far parte del mondo black metal. Il nome della band deriva da una vecchia parola olandese, che sta a indicare varie emozioni intense come il pentimento, la passione e la rabbia, tutte espresse in ogni lavoro, grazie al sound ossessivo, che prende a piene mani dalla second wave, arricchito da passaggi atmosferici e caratterizzato da peculiarità che dopo qualche ascolto riescono a rendere la proposta davvero riconoscibile. Giunto al terzo lavoro in studio di lunga durata, il progetto belga cerca di estremizzare la sua proposta e registra probabilmente il lavoro più ambizioso, più affascinante e maturo della propria discografia. Un disco che prende ispirazione se vogliamo da mostri sacri come Burzum, per quanto riguarda le atmosfere dilanianti e tormentate, ma anche da artisti del calibro di Wolves In The Throne Room, Altar Of Plagues, Year Of No Light; il tutto all’insegna di una personale interpretazione del black metal più deprimente e atmosferico, dove tradizione e natura si mescolano con ricordi sbiaditi e tanta malinconia. “Vossenkuil” è l’attuale zenit creativo del progetto: un platter di non facile assimilazione, considerato il genere proposto e una durata di circa quarantatré minuti, che si muove lentamente, in maniera monolitica, a tratti pachidermica, grazie ai suoni compressi e quasi ovattati dovuti alla produzione (professionale) presso gli Studio Jupiter.
A partire dall’artwork elegante e curato, che rappresenta una fotografia appunto di Vossenkuil, località dove il nostro impavido Jim è cresciuto e dalla quale ha tratto ispirazione per la stesura del disco, ci si rende conto che quest’ultimo avrà una doppia sfaccettatura; se da un lato verremo cullati dall’andamento lento e suadente della natura, accentuato dal lato atmosferico del sound, dall’altro ci interfacceremo con la furia della stessa, imprevedibile e letale, rappresentata dal black metal più ortodosso. Un lavoro ambizioso, dicevamo, diviso in otto capitoli, con l’intro seguita da sette tracce, di cui una cover e un brano strumentale, tutte strettamente legate in un cammino attraverso rovi, rami e paludi, tra profumi e insidie: una vera esperienza onirica, con un concept sospeso tra sogno e realtà, tra ricordi d’infanzia, reminiscenze incantate, fantasie terrificanti e minacciose ambientate nella zona di Vossenkuil. Il viaggio inizia nel modo più classico possibile, con un’intro ambient utile per farci mettere comodi e partire con “Nachtwandeling”, autentica furia di black metal old school, con un retrogusto di Enslaved e Burzum, un up tempo che rappresenta una delle tracce più coinvolgenti del disco, grazie ai suoi riff tutti memorizzabili e implacabili. I riff e i solos sono piuttosto elementari ma sempre efficaci e sottolineano la vena vintage della proposta, che si snoda tra episodi carichi di furia primordiale come “De Hutten”, brano che inizia con un riff melodico ma che risulta essere il pezzo più devastante del disco e di sicuro quello che si può accostare con più facilità a una canonica black metal song, grazie alla batteria che assomiglia a una vera e propria tempesta di piombo e alle chitarre in costante tremolo, che sembrano artigli affilati strofinati su un muro.
La vera sorpresa è un pezzo come “Sneeuw Op Het Meer”: un brano oscuro, con tempi rarefatti e aperture quasi dark, grazie a chitarre ariose e sognanti al limite dell’alternative o del post-rock/shoegaze, che poi esplode in un susseguirsi fitto, violento e impenetrabile di blast beat; il che consegna al pezzo in questione, anche per via del riff finale orientaleggiante, lo scettro di brano più disturbatante del disco. Al contempo canzoni come “Beverdansen” e “Eewig Vuur” esaltano in maniera esponenziale il carattere atmosferico, al limite dell’ambient, della musica degli Ande, con accordi dissonanti e passaggi vocali e sonori minimali, che donano al tutto un’atmosfera sinistra e meditabonda, con qualche riferimento alla scena progressiva anni settanta, per via delle chitarre che spesso cercano soluzioni pulite e rarefatte unite a sonorità distorte che strisciano sottotraccia. Completa il lavoro una cover dei conterranei Lugubrum, “Mijn Koninkrijk Van Groen”, pezzo del 1997 che ben si amalgama al contesto del disco, riproposto in maniera fedele ma con l’aggiunta di elementi tipici degli Ande, che riescono così a “farlo proprio”.
“Vossenkuil”, composto tra il 2017 e il 2019 ma che solo oggi vede la luce, rappresenta un chiaro esempio di come suonare black metal con aperture atmosferiche e ambientali, grazie a un ottimo impasto sonoro, che spazia dalla ferocia classica del black più tradizionale a sperimentazioni progressive o post rock dal sound ovattato e plumbeo. Un disco complesso, ben suonato e prodotto in maniera coerente con gli stilemi del genere, di sicuro non alla portata di tutti, anche se riesce a crescere con gli ascolti e ad aumentare le aspettative per il prossimo futuro della band.