Vera e propria istituzione dell’underground statunitense, i Grand Belial’s Key, band in passato affiliata a movimenti politici nazionalisti e di estrema destra ed oggi non più apertamente schierata come un tempo, possono tranquillamente essere considerati alla stregua dei più importanti gruppi della scena di quel paese, alla pari di Profanatica, Blasphemy e pochissimi altri. In questa interessante ristampa (che permette, a chi se li fosse lasciati scappare ai tempi della loro prima pubblicazione, di riascoltare il seminale debutto “Mocking The Philanthropist” del 1997 e l’ep “A Witness To The Regicide” dell’anno precedente), possiamo apprezzare appieno tutte le potenzialità di un combo capace di aggredire frontalmente l’ascoltatore con un’efficacissima miscela di black metal primordiale e minimale, sorretto da un’anima nera di death lento e claustrofobico, quasi doomeggiante nel suo andamento ipnotico e nel suo incedere spietato e granitico. Ottimi sia i passaggi più ariosi, nei quali fanno capolino tastiere atmosferiche centellinate e mai invadenti, sia quelli maggiormente oscuri e foschi, dove è il suono dell’organo a catturare l’attenzione e a donare emozioni crudeli che odorano di zolfo. Colpiscono nel segno anche i momenti più furiosi e cacofonici, caratterizzati da una mai sopita e particolarmente inspirata indole thrash, dove la malvagia aura evocata dalle note del gruppo emerge nitida in tutta la sua diabolica consistenza, sorretta da un riffing non originale ma decisamente tagliente nella sua semplicità. Il tutto condito da testi ferocemente ed ironicamente anticattolici e da una produzione estremamente lineare ed artigianale ma non da effetto “presa diretta”. In definitiva una piccola perla di arte occulta e perversa, che tutti gli appassionati del genere potranno gustare.
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