Quanti di noi sono insaziabili di black metal sparato a tutta velocità ma che solletica le fantasie più romantiche grazie a melodie che riscaldano il cuore? Bene, siamo in tanti incurabili romantici, anche se, effettivamente, di romantico in “Purging Sacred Soils”, debut album dei tedeschi Slagmark, c’è ben poco, a vantaggio di violenza, ferocia e innata barbarie. Questo duo armato e pronto alla guerra, formato da personaggi già impegnati in band come Sarkrista e Totenwache, dimostra di avere le idee ben chiare e questo disco è la prova, maschia e guerriera, di come nel 2020 si possa suonare classico black metal, senza inventarsi nulla ma senza cadere nel banale e nel cervellotico. Poco più di trenta minuti di furia cieca, un assalto alla baionetta con pochi eguali, una tempesta di vento e ghiaccio che ci investe senza un minimo di tregua, grazie alla quantità smodata di tremolo e blast beat, che non lesina costanti attacchi frontali alternati a sporadici mid tempos più marziali. Le parole d’ordine sono due: furia assassina e melodia artica; in definitiva true nordic black metal suonato con le palle di un orso. Se volessimo riassumere il contenuto con un’immagine dovremmo dire che la bella cover fa il suo sporco dovere, raccogliendo visivamente gli elementi che gli Slagmark riescono a trasformare in musica, dando vita ad un debut davvero interessante.
“Purging Sacred Soils” è il classico disco tritaossa che però non lascia indifferenti, vuoi per l’abnegazione con cui è suonato, vuoi per la brutalità e il caos evocati, vuoi per le melodie epiche presenti in molte tracce, sempre caratterizzate da chitarre taglienti e batteria martellante. L’unica tregua la si può incontrare nella breve e sinistra intro, che apre le danze all’orgia demoniaca che prende il nome di “Feeding The Urge To Destroy”, classico biglietto da visita tra blast, tremolo e melodia nordica, condito da vocals tipicamente black, acute ma non fastidiose. Sulla falsariga dell’opener è la seguente title track, altra song carica di impatto guerrafondaio. Poi gli Slagmark spostano l’attenzione su altri lidi e lo fanno con “Built On Bone Hills”, una sorta di mid tempo marziale, dove fanno capolino pure dei pregevoli archi, a rafforzare il piglio melodico prima che il tutto venga frantumato dal classico blast devastante che non incrina minimamente la resa drammatica della canzone, che risulta essere uno degli episodi più riusciti del platter.
Come la lunga e articolata “As Cathedrals Drowned in Flames”, elegante esempio di black metal radicato nella second wave, che non disdegna un costante confronto tra momenti più riflessivi ed altri più caotici ma sempre e comunque epici, variando costantemente le sue atmosfere infernali. Impossibile non citare anche “Eradication Of All Terrestrial Ulcer”, altra prova di forza del combo, dove la sfuriata di blast incessanti riesce a rallentare la corsa, enfatizzando il costante lavoro delle chitarre che non smettono neppure per un attimo di arricchire il brano con passaggi efficaci, seppur elementari e relativamente scontati. Come da manuale, la produzione è ruvida e di basso profilo, disdegnando qualsiasi accorgimento tecnologico e suonando sì brutale ma mai fastidiosa, con le vocals quasi sempre in primo piano. Non inventano nulla questi disgraziati ma ciò che è contenuto in “Purging Sacred Soils” è pura e semplice violenza che si chiama black metal: la band riesce comunque ad andare oltre il solito compitino e, con umiltà e dedizione, registra un debut album furioso e ruggente che non lascerà indifferente nessun estimatore della fiamma nera più classica.