Nonostante la sua semplicità e mite parvenza, la cover di questo disco degli Zwiespalt riesce a evocare una sensazione di angoscia profonda, un’emozione negativa che non ti lascia sereno. Un angolo di natura con erba secca e trascurata piegata dal vento, qualche albero senza foglie e un cielo grigio con alte nuvole che oscurano il sole ma ancora non minacciano pioggia: un’immagine che avremmo visto chissà quante volte facendo una gita fuori porta con amici o con la famiglia ma che riesce comunque a trasmettere un senso di inquietudine. Questa semplice fotografia adibita a copertina, come spesso accade (che si tratti della cover di un disco o della locandina di un film), influisce sulla percezione del prodotto che presenta. In questo caso, già prima di premere il tasto play, l’animo è debilitato e ansioso, come se ci trovassimo all’interno di quella stessa ambientazione, tra correnti gelate e una desolazione sinistra. Non si parla di un film horror ma di “Ambivalenz”, prima fatica degli Zwiespalt, combo tedesco all’esordio discografico, del quale si sa poco o nulla. E se la cover trasmette le sensazioni descritte, il contenuto musicale del disco rispecchia esattamente quanto anticipato dalla grafica: più che un gruppo tedesco sembra in effetti di ascoltare una black metal band proveniente da una qualsiasi cittadina norvegese nei primi anni novanta e old school è la parola d’ordine che dobbiamo tenere a mente una volta entrati nell’universo di questi nostalgici romanticoni. Nei venticinque minuti circa di questo disco il tempo si è fermato al 1995, giorno più giorno meno, e l’opener “Stumpf” ne è l’esempio lampante: un minuto e quaranta secondi di attacco frontale tirato a velocità non trascurabili e freddo come una lama.
Accogliente come un manicomio abbandonato, “Ambivalenz” si presenta come la colonna sonora disperata della fine dei giorni, con quei suoni graffianti d’altri tempi, senza però cadere mai nella trappola dell’eccessiva ridondanza nostalgica, anche grazie alla produzione fermamente ancorata alla vecchia scuola e dannatamente analogica ma abbastanza pulita senza risultare ruffiana. Il susseguirsi dei pezzi è una veloce discesa agli inferi, tra blast beat e up tempos, senza eccessivi rallentamenti o inclinazioni atmosferiche; ci pensano infatti le melodie infauste delle chitarre a portarci nostalgia e dolore, trasportandoci indietro nel tempo. Ogni singolo brano è parte fondamentale di un puzzle molto semplice ma che, una volta finito, dà una grande soddisfazione. La struttura dei pezzi è al limite dell’elementare ma ciò che effettivamente la band va cercando sono l’immediatezza e l’impatto senza orpelli da conservatorio; qui si suonano basicamente gli strumenti come le clave dei cavernicoli e il suono che ne fuoriesce è intriso del sangue dei peccatori. In mazzate violente come “Wildnis” o “Wiederkehr”, così come nelle più cadenzate ed epiche “Brandung” e “Niedergang”, traspare la volontà degli Zwiespalt di suonare come si faceva una volta, senza fronzoli e senza mezzi termini, con chitarre in tremolo, batteria in blast e vocals che sembrano uscite da un altro mondo. “Ambivalenz” dimostra come si può suonare oggi del sano black metal incontaminato senza risultare banali, prevedibili o, addirittura, anacronistici. Tutto è al posto giusto, senza inventare nulla di nuovo ma ricalcando fedelmente quella formula collaudata che prende il nome di true (norvegian) black metal che, minuto dopo minuto, crea con estrema semplicità quelle sensazioni di disturbo e disperazione che solo il nostro genere prediletto riesce a trasmettere in modo così efficace, trasportando l’ascoltatore in un mondo pietoso per una scarsa mezz’ora di dolore e negatività. Un esordio che non passa inosservato e merita l’attenzione degli appassionati.