Questo primo, omonimo parto dei nostrani Black Raptus, uscito sul finire dello scorso anno ma che solo adesso ho avuto la possibilità di ascoltare, è stato davvero una piacevole sorpresa per il sottoscritto: nulla di trascendentale e men che meno di innovativo, intendiamoci, ma un discreto pugno nello stomaco a base di (in)sano black n’roll, che potremmo tranquillamente definire old school, perché in tutto e per tutto legato alla tradizione, dall’attitudine, alla struttura dei pezzi, alla registrazione. Ma andiamo con ordine. I nostri sono attivi da circa un paio di anni: un quartetto di incappucciati proveniente da Voghera (cittadina depressa, il cui clima umido e nebbioso non può che favorire la nascita di una black metal band), formato da Lifedestroyer al basso, Nazghoul alla batteria, Hvrvs alla chitarra e Draugr alla voce, particolarmente devoto a sonorità nere, ruvide e nervose, influenzate in egual misura tanto dal vecchio black metal della così detta prima ondata (Venom, Hellhammer, Celtic Frost), quanto dal black n’roll più datato (primi Carpathian Forest), quanto dalla new wave of black heavy metal più di recente riportata alla ribalta dai cari e vecchi Darkthrone (e non credo che la cover di “Too Old Too Cold”, tratta da quel “The Cult Is Alive” che nel 2006 segnò la svolta per la band di Fenriz e Nocturno Culto, stia lì per caso: si tratta invece di un chiaro omaggio al gruppo che più di ogni altro in questi ultimi anni ha contribuito a ridare smalto a questo genere di sonorità, che in realtà hanno sempre avuto la loro schiera di die hard fans).
Le coordinate stilistiche di questo “Black Raptus” sono quindi chiare ed i nostri amici dimostrano di essere in grado di poterle fare proprie con la giusta dose di cattiveria e con un certo piglio punk che in questo caso sicuramente non guasta. Partiture ficcanti e lineari, mitragliate al fulmicotone ma anche buoni cambi di tempo che non trascurano passaggi più lenti e cadenzati, e uno screaming feroce che scartavetra a dovere le orecchie del malcapitato ascoltatore.
La produzione è un po’ deficitaria ma, trattandosi di una demo autoprodotta, probabilmente non era lecito attendersi molto di più: e in ogni caso lavori di questo tipo, così giocati sull’energia primordiale scatenata dalle note, possono (e forse devono) fare a meno di una registrazione pulita e levigata. Immagino che la dimensione ideale dei Black Raptus possa essere quella live: piccoli club con un pugno di scalmanati ubriachi sotto il palco a pogare e strattonarsi con pezzi come la title track e “Satan Always Wins”. Vedremo cosa ci riserveranno in futuro.