Tre dischi in dieci anni per questi caterpillar svedesi, nonostante la genesi di questa creatura bastarda risalga all’inizio del nuovo millennio. Ci sono voluti ben nove anni a questi energumeni assetati di caos per dare alla luce il successore di “Likdagg”, risalente appunto al 2011. Gli Horde Of Hel nascono, come detto, all’alba di questo maledetto millennio, quando John Odhinn Sandin volle creare un progetto che differisse totalmente dalle band in cui militava, enfatizzando la velocità disumana delle composizioni con un connubio tra industial oscuro, marziale, malevolo e ipnotizzante, e un black metal vecchio stampo, con l’intento di creare un progetto “industrial black metal”; definizione che, ascoltando il platter, a parte alcuni episodi, non è propriamente calzante. Dalla sua nascita la band non ha stravolto più di tanto il suo approccio, fedele a un black metal in grado di scuotere i pilastri del paradiso; anzi, ha rincarato la dose di brutalità e violenza incontrollata, scalando picchi di velocità e disperata intensità che nei precedenti platter venivano solo potenzialmente sfiorati. Il nostro trio infernale in questo “Döden Nalkas” è stato bravo a trasformare le idee in massacro sonoro per la bellezza di quarantacinque minuti: una sassaiola tra bande rivali di strada per l’egemonia del quartiere, un feroce cane che ti azzanna alla gola. Tra ultra violenza anti cristiana e anti umana, i dieci pezzi contenuti nella nuova fatica di Odhinn & Co. scorrono che è un piacere, raggiungendo in alcuni casi velocità disumane, esaltate anche da una produzione che lascia molto spazio alla batteria del nuovo arrivato in famiglia (Nils Fjellström, che di certo non necessita di presentazioni: già tiratore scelto nei Nordjevel, per non parlare di Odhinn, In Battle e, più recentemente, The Wretched End, senza contare l’attività live con i mostri sacri Dark Funeral), che raggiunge i 500 bpm; e difficilmente abbiamo sentito una furia di tale potenza dietro le pelli.
Gli Horde Of Hel si dimostrano ancora una volta un carro armato lanciato a tutta velocità, anche se in questo caso abbiamo la possibilità di sentire la band cercare di rallentare e fermarsi sui propri passi, soprattutto in pezzi come “Visdomen Kallas Døden” o la malinconica e oscura “Of Eternity And Ruins”, anche se è con la epica e marziale “Totalitarian Regime” che il gruppo alza l’asticella, creando una vera epic black metal song di qualità superiore. La furia assassina resta comunque il loro marchio di fabbrica: abbiamo a che fare con menti disturbate, non c’è altra spiegazione, perché se pensiamo a come un essere umano possa suonare partiture come quelle presenti in “Blodets Morgon”o nella successiva “Death Division Status”, non riusciamo a darci delle risposte, in quanto di umano in queste velocità spasmodiche c’è davvero ben poco. Con “No Remorse” la band da spazio al suo lato più industriale, in un brano dove i synth ricoprono un ruolo da protagonista, creando atmosfere malsane di guerra e miseria. Le chitarre affilate e appuntite come filo spinato, le voci acide che ricordano versi demoniaci, e il tutto condito da costanti elementi ambientali che avvolgono il relitto in vertiginosa e disorientante oscurità, completano l’opera di questi tre figli del demonio. Ascoltare tutto d’un fiato “Döden Nalkas” ti stordisce, oltre per la sua velocità da ritiro della patente a vita, anche per i suoni sapientemente miscelati in cabina di regia da Devo (Marduk), che ha enfatizzato la parte più nera della musica della band, creando atmosfere intimidatorie e una sorta di celebrazione della follia del metallo nero, in quella che è una delle uscite più contorte, barbare e punitive di questa strana estate.
A chi cerca ascolti “easy listening” consigliamo di stare a debita distanza da questo disco ma per tutti coloro che vogliono cimentarsi con velocità folli e atmosfere intrise di cherosene e zolfo: qui c’è del buon pane per i vostri denti. Un disco che fa di velocità e brutalità i suoi punti cardine inamovibili ma che, grazie ad alcuni brani di spessore, vuoi per l’esperienza della band vuoi per la bravura individuale, riesce ad emergere nell’infinita quantità di uscite di genere affine.