La calda Sicilia, terra amabile e dannata, nasconde tra le ombre dei suoi anfratti più reconditi realtà tutt’altro che solari; e questa non è più una sorpresa, almeno dalla metà degli anni novanta. I Fordomth arrivano da Catania ed in loro evidentemente brucia il fuoco nero dell’Etna, perché i loro pezzi sono davvero come una colata lavica, che a volte corre a valle in modo travolgente e a volte ristagna fumosa ricoprendo tutto ciò che incontra. Ma andiamo con ordine. I nostri sono attivi da circa sette anni e hanno alle spalle il full length di debutto “I.N.D.N.S.L.E. (In Nomine Dei Nostri Satanas Luciferi Excelsi)”, pubblicato nel 2018, un poderoso concentrato di black/funeral/doom lento e pachidermico, sulla scia di bands come Evoken, Skepticism e Nortt. Al 2019 risale invece lo split “Twin Serpent Dawn”, in compagnia dei conterranei Malauriu, nel quale i nostri propongono un pezzo, “The Chanting Void”, decisamente più orientato verso sonorità black ma ancora sporcato da fangosi rallentamenti funeral. Un pezzo che anticipava ciò che avremmo ascoltato in questo nuovo “Is, Qui Mortem Audit”, fuori per i tipi dell’elvetica Auric Records in elegante formato digipack, album nel quale il mutamento stilistico intravisto lo scorso anno può dirsi completato, probabilmente anche favorito dai numerosi cambiamenti nella line up, che al momento sembra essersi stabilizzata in una formazione a tre elementi con un session vocalist.
In ogni caso adesso è tutto più black in casa Fordomth anche se la band non ha perso le proprie peculiarità, riuscendo a fondere questa sua nuova indole con le radici cimiteriali del sound degli esordi e dando vita ad un album disperato e catacombale, dove una violenza rituale e una plumbea atmosfera di morte vanno a braccetto lungo la via dolorosa che si dipana per tutta la durata del disco. Echi di Mgła, Gaerea e Malthusian si rincorrono nei passaggi più tirati, caratterizzati da un riffing stratificato e ben scanditi da un ottima sezione ritmica, in particolare per il lavoro svolto dietro le pelli da C.V., estremamente puntuale nel dettare i tempi di questa marcia di morte.
I Fordomth non si fanno mai prendere dalla ferocia indisciplinata e caotica, prediligendo invece un approccio più insinuante e carico di tensione: la loro musica ha qualcosa di mistico, è una sorta di percorso iniziatico che attraverso la flagellazione della carne conduce all’elevazione dello spirito, anche se la visione finale è decisamente più infernale che paradisiaca. C’è un certo lavoro melodico di fondo, apprezzabile solo dopo svariati ascolti, ma l’elemento che marchia a fuoco la proposta dei Fordomth continua pur sempre a essere rappresentato dalle dilanianti sterzate in territori doom/funeral, un trademark che consente all’ensemble siciliano di ritagliarsi il proprio piccolo spazio personale e di far emergere la propria proposta nel grande e indistinto calderone del black metal dal taglio moderno (ma dal sapore antico) che negli ultimi anni sembra aver conquistato un numero sempre maggiore di adepti.
Momenti nei quali i ritmi rallentano e la sofferenza si fa ancora più palpabile, tra i rintocchi della batteria simili a quelli di una campana a morto ed arpeggi sulfurei e carichi di velenose aspettative, con la voce del cantante C.G. (il quale, subito dopo la registrazione di questo disco, ha abbandonato la band) che urla tutto il suo dolore e la sua angoscia attraverso uno screaming particolarmente lacerante. L’album è pesante e sofferto: non si tratta certo di un ascolto facile ed immediato ma, negli episodi dove le due anime della band, quella black e quella più doom, si compenetrano meglio in un malevolo equilibrio, si raggiungono notevoli picchi emotivi: mi riferisco all’opener “Esse” e specialmente a “Mors”, i due brani a mio giudizio migliori di un lavoro che comunque non soffre di momenti di stanchezza o di evidenti cadute di tono. I Fordomth hanno cambiato pelle ma la loro musica resta dello stesso colore nero pece. Una bella sorpresa in un anno che si sta rivelando ricco di buone uscite.