Da qualche anno a questa parte la terra del power metal più sbarazzino e divertente, fatto di doppia cassa, cori imperiali e melodie da sigle tv, si sta lentamente trasformando in una fucina di bestie carnivore, che adorano principalmente carne bigotta e cristiana. Una fiamma nera, che da piccolo bivacco sta diventando una vera e propria esplosione di orde sataniche, dedite al black metal old school, ma che, passo dopo passo, sta acquisendo delle vere e proprie peculiarità che la rendono riconoscibile nella scena mondiale. Come di consueto la Purity Through Fire non si è lasciata sfuggire l’occasione e ha assoldato tra le sue agguerrite fila pure questa nuovissima formazione, che poi tanto nuova non è, visto chi si cela dietro i drappi neri di ordinanza. Membri dei seminali Mavorim, Totenwache, Meuchelmord e Slagmark si sono riuniti per fare un’orgia blasfema e dare alle tenebre questa creatura a tre teste che prende il nome di Eisenkult, di cui “…Gedenken Wir Der Finsternis” rappresenta fieramente l’assoluto esordio discografico. Niente demo, ep, split di rodaggio, qui si va dritti al sodo e, viste le tre bestie di satana che compongono la band, sappiamo già dove si andrà a parare con questo disco, elegantemente presentato con un digipak in perfetto stile Purity Through Fire. La cover ci catapulta immediatamente in un mondo lontano, dai connotati medievali, tra mostri, serpenti e disperazione.
Un ottimo biglietto da visita per chi si approccia alla band, enfatizzato dai primissimi suoni dell’ intro, che ricordano la tecnologia cara ai videogiochi anni ottanta “8 Bit”: un motivetto che apre il disco, e lo chiude con la collegata outro, che ricorda l’inarrivabile gioco della Nintendo “Dungeons & Dragons”, tanta è l’oscura epicità che trasuda da queste minimali note, che ci accompagnano all’ingresso di questa esperienza tetra e mistica, avvalorata da inserti atmosferici che sconfinano spesso e volentieri in un dungeon synth di qualità. Messi da parte i vari stacchi atmosferici del disco, necessari per accompagnare nei meandri del castello l’ascoltatore, le cinque tracce (la tracklist è composta da otto brani, di cui tre strumentali, per un totale di quasi mezz’ora) sono esattamente ciò che ci dobbiamo aspettare da una black metal band tedesca: furia cieca di chiara ispirazione second wave, drammatiche melodie e divagazioni che spaziano sporadicamente dal viking al pagan, senza mai utilizzare strumenti tradizionali. Gli Eisenkult invece spingono sull’acceleratore e non hanno bisogno di ammiccare troppo ad altri generi per attirare la nostra attenzione; e se “Stahlross” con la sua brevissima durata, tra blast e urla laceranti, di sicuro non ci fa gridare al miracolo, è “Deprecatio” che mette le cose in chiaro sul risultato che possono raggiungere questi tre bravi ragazzi. La musica ora è molto variegata, grazie all’innumerevole quantità di cambi di tempo e di atmosfere contenute nel brano, pur sempre equilibrate, che fa emergere le melodie più orgogliosamente teutoniche dell’intera opera. Dopo un oscuro interludio, che può ricordare in parte la colonna sonora del nuovo “Suspiria”, targata Tom Yorke dei Radiohead, la title track, dopo un’intro di synth minimale, da spazio a ariose melodie di tastiere in mid tempo, per poi trasformarsi in un’epica cavalcata a cavallo tra il black e il thrash metal più feroce, senza mai mettere da parte le consuete, ancestrali melodie.
Ma il tempo stringe, ed è ora di un altro piccolo capolavoro malato che prende il nome “Auf Schwarzen Schwingen”, un mid tempo deviato che, tra un’accelerazione e l’altra, concede ampio spazio a una grande interpretazione vocale, un’autentica recita di un rosario maledetto, che da il via a “Einendloses Nichts”, altra pallottola antiuomo nella quale, attraverso l’alternanza tra tempi rarefatti e sognanti e sfuriate iraconde, la band riesce a mantenere un equilibrio e una personalità invidiabili. In poco meno di mezz’ora gli Eisenkult centrano l’obbiettivo di rendere riconoscibile ogni singolo minuto che compone questo bel disco d’esordio, grazie ai costanti e intelligenti cambi di tempo e all’uso mai eccessivo dei synth, che ricoprono un ruolo marginale (ma comunque importante) di abbellimento e rifinitura. La produzione non è di sicuro la parte forte del lavoro, risultando spesso e volentieri leggermente piatta e con suoni spesso troppo scarni, che non riescono a valorizzare al meglio certi passaggi, ma è davvero solo un dettaglio al quale non si fa caso nei primi ascolti; e, volendo essere pignoli, due canzoni in più avrebbero contribuito a rendere questo esordio uno dei migliori in assoluto di quest’anno nefasto. Chi ama il black metal ma non riesce a fare a meno di musica ambientale griderà al miracolo; noi ci limitiamo a dire che è un disco al quale chiunque ascolta metal estremo deve dare una chance: non ne rimarrà deluso.