C’è del marcio nell’assolata e calda Trinacria, ma questo ormai lo sappiamo bene, almeno dal 1995. Quello che il sottoscritto, e penso la maggior parte di voi, ignorava è che ci fosse una scena raw black metal concentrata sull’isola di Pantelleria, meta turistica situata a sud della Sicilia e ad un tiro di schioppo dalle coste della Tunisia, che, evidentemente, passata l’estate, costituisce l’ambiente ideale per la proliferazione del metallo più marcio ed oscuro. Tra i gruppi attualmente in attività sull’isola, tutti devoti ad una forma particolarmente selvaggia, glaciale e primordiale di black metal, possiamo citare i Gadir, i Kuddia Attalora e appunto i Gelkhammar, trio formato da Marchosias alla batteria, Anammelech alla chitarra e Warrior alla voce, che ha già dato alle stampe l’ep “Cossyra” nel 2018 e il singolo “Obsidian” l’anno successivo. È ora la volta del debutto sulla lunga distanza, che risponde al nome di “The Sword Of Gelfiser” e che esce per la Xenoglossy Productions (e in formato tape, in edizione limitata, per la sublabel Cossyra Tapes), piccola etichetta indipendente nostrana, specializzata nello scovare realtà estreme nel panorama italiano, piccole ma interessanti. Dal punto di vista musicale i Gelkhammar sono saldamente ancorati ad una forma di black metal grezzo e tradizionale, fedele ai dettami della scuola norvegese, che tutti conosciamo, con evidenti richiami ai Darkthrone classici, ma anche alle Black Legions francesi e all’attuale scena raw black metal iberica e lusitana, che forse più di ogni altra stanno raccogliendo quell’eredità musicale: atmosfere cimiteriali e nebbiose; riffing minimale ed ipnotico, che non rinuncia però a qualche apertura dal sapore vagamente epicheggiante e a qualche passaggio più melodico; blast beats furiosi; screaming gorgogliante da bestia feroce appena sgozzata; produzione decisamente artigianale ed approssimativa ma meno sporca se paragonata a quella delle precedenti uscite.
Tutto come da copione, senza però mai scivolare nella confusione fine a sé stessa, perché c’è comunque una logica compositiva che rende i pezzi intelleggibili e sorregge la loro struttura, benché in alcune parti la band si lasci andare all’improvvisazione, dando libero sfogo al proprio istinto selvaggio per trasportare l’ascoltatore nei misteriosi paesaggi che ancora oggi conservano tracce della storia dell’isola. Come infatti accade spesso, le liriche hanno a che fare con la ricca storia locale e vale la pene essere più precisi attraverso le parole della band: “The Sword Of Gelfiser”si riferisce a una spada rinvenuta nella grotta di Gelfiser (dal termine arabo “Jebel Fizàr”, che significa più o meno “montagna spaccata”), nei pressi del monte dell’isola, Montagna Grande. L’artefatto è datato al 1270 ed è probabilmente appartenuto a un cavaliere francese che transitò da Pantelleria durante la Nona Crociata. L’album esplora diversi toponimi e punti d’interesse geografici di Pantelleria: “Daughter Of The Wind” (“figlia del vento”) è il significato del nome dell’isola in arabo (“Bint al-Riyāh”); “Marsa” è il nome di una strada costiera; “Gibbuna’s Graves”parla del sito di una tomba bizantina datata al sesto secolo; infine “Sibà” si riferisce a un villaggio montano di Pantelleria”. Vi è dunque una compenetrazione organica tra i testi e la musica, che è sicuramente funzionale alla resa finale: un viaggio alla scoperta di una realtà storica e geografica affascinante, che probabilmente in pochi conoscono, attraverso note ruvide e vagiti di terrore. Ascolto consigliato agli amanti del black più basilare e canonico ma non per questo privo di un’oscura attrattiva, che continua ad esercitare un certo fascino.