Ribadire come negli ultimi anni il Canada, nella fattispecie il Quebec, sia salito agli onori della cronaca nera metallica è ormai argomento di tutti i giorni, anche se rimane di costante attualità, per la quantità e qualità di materiale che quella lontana parte del mondo riesce a produrre. I Sombre Héritage non sono i primi e non saranno gli ultimi di questa nutrita e maledetta schiera, che sta creando una vera e propria scuola, grazie a sonorità piuttosto inclini alla melodia e alla depressione ma condite da quella sana, piacevole ed efferata violenza che accomuna tutti i gruppi provenienti da quelle zone. All’esordio discografico sotto la sempre attenta ed efficiente Sepulchral Productions, i Sombre Héritage non sono estranei alla scena estrema canadese in quanto condividono alcuni componenti con i seminali Hak-Ed Damm, che la sanno lunga su come si suona metallo estremo feroce e di qualità. In questo nuovo progetto tuttavia si mettono da parte concetti basilari come l’adorazione del maligno, l’odio nei confronti dei cristiani e delle religioni in senso lato, la morte e lo schifo verso l’essere umano, per dedicarsi a tematiche più inclini alla natura, elemento palesato anche nella bella cover. “Alpha Ursae Minoris” non è un lavoro di facile assimilazione ma, ascolto dopo ascolto, si fa apprezzare per le svariate sfaccettature, cambi di tempo e atmosfere surreali, con un sound che spazia dal più classico black metal, colonna portante di tutto il disco, a influenze atmosferiche, doom e progressive, senza mai dimenticare gli insegnamenti basici del vecchio thrash.
Far coesistere il tutto in soli trentasette minuti non è facile ma i Sombre Héritage riescono nell’intento, registrando sei tracce mediamente lunghe, articolate e complesse per la quantità smisurata di accorgimenti che la band utilizza, grazie all’unione tra brutalità implacabile e chirurgica precisione esecutiva. Facendo riferimento alla scena canadese, alcuni elementi ricordano i Trépas, ma più oscuri e nervosi, senza dimenticare i primissimi Emperor, dove la straziante e maligna atmosfera dettata dalle tastiere la faceva da padrona. Nell’economia del disco rilevante importanza ricoprono le vocals ad opera di Molag-Venn, acute e graffianti ma mai fastidiose, che vengono alternate a parti narrate in clean nei momenti più riflessivi, riuscendo a cogliere effettivamente l’aspetto più atmosferico e “naturale” delle composizioni. Se l’opener “Polaris” ci da il benvenuto con le sue atmosfere decadenti ma maestose, come un antico maniero lasciato in abbandono e disgrazia tra le intemperie, spetta alla seguente, autocelebrativa “Sombre Héritage” farci capire che questi tre bifolchi quando vogliono correre, lo sanno fare in scioltezza disumana, senza mai dimenticare i costanti arrangiamenti atmosferici, tra arpeggi e clean vocals presenti in tutto il platter. È col passare dei minuti che ci si rende conto della produzione fuori dagli schemi di “Alpha Ursae Minoris”: un suono compatto, possente ma che non strizza mai l’occhio agli aiuti tecnologici del nuovo millennio, rimanendo ancorato fortemente ai clichés analogici di una volta, regalandoci al tempo stesso potenza e intimità. Silencer, dietro le pelli, fa un lavoro ai limiti della comprensione umana per quanto concerne la forza esecutiva: la massima espressione di questa potenza esplode in “Dissidence”, vera e propria black metal song che potrebbe essere uscita tranquillamente dalla Norvegia del finire degli anni novanta, con atmosfere ariose ma pur sempre marce, e con lo stesso Silencer che crea una massacrante base portante di blast che farà esplodere il vostro impianto stereo.
La degna chiusura è affidata all’ipnotica e ossessiva “Ténèbres”, altro macigno che riassume la filosofia Sombre Héritage: la canzone, pur priva di sferzate più veloci, riassume tutti gli elementi che rendono davvero incredibile questo disco, che si distacca in parte dal concetto classico di black metal, avvalorando la tesi che questo genere, se suonato da musicisti di valore, può davvero farci scoprire meandri della mente umana tuttora inesplorati. Un disco a tratti entusiasmante, che rimane tuttavia estremamente di nicchia, per chi vuole sperimentare ascolti, seppur estremi, differenti e parzialmente lontani dai soliti luoghi comuni, divagando tra paludi malsane e acide. Un lavoro da degustare con calma, tra un calice di vino rosso e l’immancabile solitudine introspettiva, elemento fondamentale in questo tipo di ascolti.