Vi ricordate il vecchio black metal sinfonico? Quello che spopolava in ambito underground (e non solo) nella seconda metà degli anni novanta del secolo scorso? Bene, per gli israeliani The Bishop Of Hexen il tempo sembra proprio essersi fermato lì. Attivo dall’ormai lontano 1994, quello che oggi è un quartetto guidato dal tastierista Dimrost (unico membro rimasto della line up originale; line up che comunque negli ultimi anni ha raggiunto una certa stabilità), ha dato alle stampe l’album d’esordio “Archives Of An Enchanted Philosophy” nel 1997 ed il successore “The Nightmarish Compositions” nel 2006. Abbiamo quindi dovuto attendere ben quattordici anni per poter ascoltare questa terza fatica sulla lunga distanza, che rappresenta sicuramente l’opera più ambiziosa e matura dei nostri, che in questo lungo lasso di tempo hanno curato in maniera maniacale ogni aspetto delle nuove composizioni, dal songwriting alla registrazione, passando per l’aspetto visivo di impronta rinascimentale dell’elegante edizione che esce per la nostrana Dusktone. La band è legata ad una concezione piuttosto classica del black metal sinfonico ma, più ancora che agli indiscutibili capisaldi del genere, ovvero quei Cradle Of Filth e Dimmu Borgir che proprio nella seconda parte degli anni novanta producevano alcuni dei loro lavori più conosciuti, facendo letteralmente il botto anche dal punto di vista commerciale, sembra maggiormente orientata verso un sound più enfatico e teatrale, a tratti magniloquente e persino barocco, comunque sempre piuttosto pomposo.
Quindi i maggiori riferimenti stilistici e le più evidenti influenze possono meglio essere individuati nei primi Arcturus o in certi Limbonic Art o ancora in dischi sinfonici di scuola francese come “Drudenhaus” degli Anorexia Nervosa, “Les Blessures De L’Âme” dei Seth o “Par Le Sang Du Christ (Opus Luciferi)” dei Blessed In Sin. Le atmosfere sono cupe, monumentali e dominate in lungo e in largo dalle tastiere di Dimrost, assolute protagoniste di questo lavoro, con le loro trame neoclassiche e operistiche, che a tratti prendono la scena per intero con roboanti arrangiamenti orchestrali e a tratti si limitano invece a fare da sfondo alle linee di chitarra di Ariel Eshcar e Avicious. Questi ultimi sono comunque autori di una buona prestazione: le trame chitarristiche infatti sono eclettiche e ben congeniate, spesso molto aggressive ma anche capaci di tessere partiture melodiche di più ampio respiro, sempre tese tra continui ed improvvisi cambi di tempo.
A completare il quadro di questo disco, che ben si potrebbe definire d’altri tempi, è l’istrionica prova vocale del singer Lord Koder (del resto presente anche sul lavoro precedente), che alterna uno screaming abbastanza feroce ad un cantato pulito platealmente melodrammatico, proprio come quello di un attore in scena: potrebbe anche risultare eccessivo e fastidioso per qualcuno ma è uno dei marchi di fabbrica di “The Death Masquerade”. Cosa dire quindi, in conclusione, di questo disco? Molto semplicemente che i die hard fans del vecchio black metal sinfonico qui troveranno molti elementi di interesse ed atmosfere oscure e sontuose gradevolmente familiari ma anche che i The Bishop Of Hexen confermano definitivamente il loro status di bravi artigiani; dimensione dalla quale dopo così lungo tempo non usciranno nemmeno grazie a questo loro ultimo parto, che resta in ogni caso un lavoro più che buono.