A due anni dall’uscita del debutto sulla lunga distanza, “Sacramentum Obscurus”, tornano a far sentire la propria voce i blacksters californiani Cultus Profano, ricordandoci che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, Los Angeles non è solo occhiali da sole, belle ragazze in bikini, ville da nababbi e macchine da urlo. Questo “Accursed Possession” esce per la francese Debemur Morti, forse una delle etichette più affidabili in ambito underground, e dal punto di vista musicale e concettuale sembra davvero essere la logica prosecuzione del suo predecessore, del quale prosegue la progressione delle canzoni, pensate come opere numerate in un ordine non definito. Siamo infatti di fronte ad un buon esempio di black metal made in USA, perfettamente calato nella tradizione a stelle e strisce (che, giocoforza, riprende molti aspetti della scuola scandinava, in questo caso soprattutto quella finlandese), con tutti i pregi ed i limiti che questo può comportare. Velocità d’esecuzione, assalti frontali non privi di un certo piglio melodico, furia aggressiva, freddezza esecutiva ed immediatezza delle soluzioni ritmiche e chitarristiche sembrano essere i pilastri sui quali si regge questo disco che, oltre ai grandi classici nordeuropei dei gloriosi anni novanta, chiama in causa a più riprese realtà che hanno contribuito a delineare, nel periodo a cavallo tra lo scorso secolo e questo, le caratteristiche tipiche della scena made in USA, come Kult Ov Azazel e Wind Of The Black Mountains.
L’approccio fondamentalmente tradizionale dei Cultus Profano appare subito chiaro non appena si spengono i suoni inquietanti delle campane che fungono da intro e “Cursed In Sin, Op. 25” ci esplode in faccia con tutta la sua macabra potenza: un approccio che resta sostanzialmente invariato lungo tutto il disco, il quale tuttavia non lesina variazioni di tempo e di atmosfera, lasciando molto spazio a passaggi carichi di un groove malvagio e martellante, e non rinunciando affatto a squarci più lenti e sulfurei, come ad esempio nella compassata litania funebre di “Tenebris Venit, Op. 23”.
La voce del singer Strzyga è uno screaming acuto e stridulo, che non fa gridare al miracolo ma che ben si inserisce nel quadro d’insieme, riuscendo a conferire ai pezzi quell’aura spettrale e demoniaca che di certo non guasta. La produzione è piuttosto pulita e potente, rende distinguibile il suono di ogni strumento ed è probabilmente l’unico elemento di modernità di un lavoro fondamentalmente old school.
Tra cascate di riff penetranti e dissonanti ed una sezione ritmica precisa e puntuale, l’album scorre aggressivo ed infernale, senza particolari cadute di tono ma anche senza particolari sussulti: quello che manca è probabilmente quel geniale acuto, quel tocco personale in grado di elevare definitivamente la musica dei Cultus Profano almeno in parte al di sopra della media delle proposte simili che affollano ormai da anni il panorama underground, di renderla in qualche modo riconoscibile. Tuttavia la band sembra avere le idee abbastanza chiare e lascia intravedere spiragli di ulteriore crescita, che fanno ben sperare in vista della prossima prova in studio, che potrebbe essere quella dell’effettiva consacrazione.
Al momento possiamo goderci questo “Accursed Possession”, disco tradizionale e tradizionalista non privo però di buone soluzioni che, a conti fatti e pur con qualche riserva, risulta un piacevole viaggio tra rovine cimiteriali e i tormenti delle anime in pena.