Come tutti sapete perfettamente il concetto di misantropia è strettamente connesso al black metal (almeno per come lo conosciamo a partire dagli anni novanta), del quale rappresenta una delle tematiche ricorrenti e caratterizzanti: l’odio nei confronti del genere umano trova assai spesso il suo contraltare nell’esaltazione della magnificenza e della superba bellezza della natura incontaminata; in altri casi invece quest’ostilità viene resa attraverso paesaggi sonori meccanici e robotici, dai quali la presenza umana è bandita: i rumori delle macchine sono gli unici udibili in uno spazio siderale enorme, glaciale e completamente vuoto e questo genere di raffigurazioni, proprie dell’industrial, ha trovato nel black metal (che, a dispetto della sua fama di genere chiuso ed autarchico, ha invece sempre trovato modo di ibridarsi in lungo e in largo) ampia fortuna, a partire da bands come Mysticum, Diabolicum, Thorns e Dødheimsgard (dal seminale “666 International” in poi) ed i nostrani Aborym, in una certa fase della loro carriera tra i più credibili interpreti di questo approccio, che oggi ha probabilmente perso buona parte della carica innovativa che possedeva agli esordi per assumere i contorni maggiormente definiti di un sottogenere ormai quasi completamente codificato.
Ed è in questo solco che si pone “Phobos Anomaly”, opera prima direttamente sulla lunga distanza (al momento disponibile solo in formato digitale) per Hades Nexus 16, one man band nostrana dietro la quale si cela il factotum Aasketh, già mastermind del solo project Feldvehn. Ciò che mi ha sorpreso fin dal primo ascolto, da un lato, è stata la registrazione: fredda, precisa e piuttosto potente, assolutamente calzante rispetto al genere proposto (e non era per nulla scontato, trattandosi appunto di un debutto); dall’altro, la chiarezza d’intenti del progetto, che va ad inserirsi con consapevolezza in una tradizione musicale che dimostra di conoscere molto bene e di poter reinterpretare con il giusto rispetto ma anche con la necessaria dose di personalità. Se masticate un po’ di industrial black metal infatti non potrete restare del tutto stupefatti di fronte a certi passaggi di questo disco ma neppure potrete rimanere indifferenti, anche perché il nostro amico mette in mostra un certo piglio avant-garde che potrebbe chiamare in causa realtà come gli italiani Ephel Duath o quei simpatici pazzoidi dei norvegesi Vulture Industries e che nel contesto generale non guasta assolutamente. Questa mezz’ora scarsa scorre infatti come uno schizofrenico caleidoscopio nel quale i vari passaggi musicali hanno vita breve, trasformandosi molto velocemente in qualcos’altro, in modo quasi frenetico e senza soluzione di continuità: riff rocciosi ed energici rubano la scena a scoppi di feroce violenza black a tutto tondo; squarci vagamente ambientali sono alternati a note di pianoforte ed intrusioni elettroniche; suoni assai disturbanti ed alieni in sottofondo lasciano spazio a movimenti quasi jazzati, che rendono giustizia all’indole più progressiva del lavoro, come accennato in precedenza, e ad un certo elegante buon gusto negli arrangiamenti; con la cornice di un cantato che spesso assume la forma di uno screaming stentoreo, dal retrogusto quasi dittatoriale.
Il disco è multiforme e cangiante ma questa sua essenza si mantiene costante nel corso di tutta la sua durata, rendendo “Phobos Anomaly” un’opera sostanzialmente compatta, tanto che risulta difficile citare una canzone piuttosto che un’altra, essendo tutte parti di un percorso musicale coerente, che in questo momento è anche un po’ un fulmine a ciel sereno nel panorama underground italiano. In conclusione mi sento di suggerirne l’ascolto a quanti apprezzano il black metal mescolato a deliri industrialeggianti di varia natura, senza disdegnare né la brutalità né una certa tensione sperimentale, nella speranza che questo lavoro possa venire a breve pubblicato anche in formato fisico, perché meriterebbe di raggiungere questo traguardo.