Non sono mai stato un grande fan degli Hate Forest, nonostante abbia sempre riservato rispetto per la band ucraina: sarà il growl che ho sempre trovato troppo atipico oppure chissà cos’altro ma ho sempre avuto un pizzico di freddezza nei confronti dell’act di Kharkiv. A ben quindici anni di distanza dall’ultimo “Sorrow”, come un fulmine a ciel sereno, ecco che l’Osmose Productions rilascia (il 25 dicembre, per festeggiare il Santo Natale) questo “Hour Of The Centaur”, quinta fatica sulla lunga distanza, che segna il ritorno di questa creatura mitologica, la quale ha perennemente vissuto nell’oscurità, fregandosene di mode o tendenze varie. Sono sincero: i primi ascolti di questo come back non sono stati semplici e non mi hanno, almeno inizialmente, acceso la scintilla, quella che ti fa venire voglia di ascoltare e riascoltare il disco. Per ovvi motivi editoriali però è necessario approfondire un ascolto, capirlo, studiarlo e immedesimarcisi per poter dare un giudizio il più possibile equilibrato ed oggettivo. Grazie a questa perseveranza “Hour Of The Centaur” ha iniziato a prendere possesso della mia testa, come un patto con il diavolo. Un’opera che, in trentotto minuti, mi ha catapultato negli anni d’oro della scena black e mi ha fatto rivalutare il growling del mastermind Roman Saenko, che in quest’occasione pare davvero provenire da un’altra dimensione e risulta perfetto nel lugubre contesto musicale.
Di fatto stiamo parlando di una band iconica che, piaccia o meno, ha scritto pagine importanti del metal estremo underground e basti pensare a lavori come “Battlefields” o il citato“Sorrow”. Nulla è cambiato da allora, tutto è rimasto come quando la band venne messa sotto naftalina: l’unica differenza è forse che gli Hate Forest del 2020 sono ancora più nervosi e incazzati di prima, senza aver minato la personalità della loro proposta. Il combo sferra i suoi colpi micidiali sin dalle prime note dell’opener “Those Who Worship The Sun Bring The Night”, a suon di blast indiavolato e tremolo. Da qui sino alla fine non ci sarà tregua, mai un barlume di luce: lo scorrere di questi pezzi è equiparabile alla furia cieca di un tornado che devasta tutto ciò che incontra, facendo apparire la maggior parte delle black metal band odierne degli innocui e fastidiosi cagnolini da compagnia. A questa ferocia esecutiva fa da contraltare il rifiuto nei confronti di qualsiasi forma di comunicazione o moderna tendenza social: la promozione per il disco è stata nulla; non ci sono stati singoli di lancio, ed anche in questo modo gli ucraini ci sputano in faccia la loro ira nei confronti di un mondo al quale si oppongono.
Saenko è il mattatore indiscusso, non solo per il suo particolare modo di cantare ma soprattutto per la quantità di riff primordiali di cui “Hour Of The Centaur” è pieno. Anche la prova del drummer è da incorniciare, per forza e resistenza: nonostante non vi siano particolari tecnicismi, la velocità dei blast beat e della doppia cassa e la precisione esecutiva sono davvero impressionanti. Su questi semplici elementi la band costruisce il proprio intricato puzzle monocromatico, tendente ovviamente al nero, nel quale è persino difficile indicare quali sia il pezzo migliore. Ma basta pensare alla doppietta iniziale per capire la malvagità della proposta dei nostri, anche se è con “Anxiously They Sleep In Tumuli”, suite di quasi dieci minuti, che la band centra il colpaccio: grazie all’elevato minutaggio si riesce ad evadere dalla quadratura più violenta e ossessiva, in un crescendo melodico e mistico che ci trascina in un mondo al limite del surreale, dando corpo al lato più atmosferico della band, che nel resto del disco viene soffocato dall’impatto brutale. La produzione ovattata e claustrofobica, con suoni potenti e compressi, aiuta a calare l’ascoltatore in questo viaggio (probabilmente di sola andata) verso la più remota oscurità, nel nome del black metal più tradizionale. Un ottimo ritorno per una band storica; disco non per tutti, come i beni di lusso d’altronde.