Un moniker che col black metal vero e proprio non c’entra nulla o quasi; ma noi ce ne freghiamo e li recensiamo lo stesso perché spaccano il culo. Punto e basta. I polacchi al secondo lp fanno centro e questo “Into Certain Death” è una tempesta di acciaio letale, che annovera tra le sue munizioni un sovradosaggio di speed e thrash metal, con quella verve classica del metal estremo delle origini che ci trascina dentro quantità abnormi di blast beat, riff furiosi e le classiche voci scream/growl oriented. Detto così viene da pensare che non c‘è nulla di nuovo, ed è così! La fiera dei clichés è servita e noi sappiamo muoverci alla perfezione tra i suoi vari padiglioni; la merce esposta sta lì, è un film visto e rivisto, conosciamo le battute a memoria, al punto di anticipare gli attori che recitano, ma questo non fa che farci apprezzare ulteriormente la pellicola in ogni sua sfumatura. I Ragehammer sono questo, l’ennesima band che suona incazzata e furiosa quello che tanto va di moda oggi, ma lo fa in maniera egregia, confezionando quarantasei minuti di massacro che non fanno prigionieri. Già la cover non lascia dubbi sulla brutalità contenuta in questo disco: nei quattro anni di pausa dall’ultimo lavoro in studio la band ha avuto modo di mescolare le idee, andare a prostitute e bere tanta birra e i risultati si sentono eccome.
Sarà per le prostitute, forse per l’alcool, ma possiamo dire che questi quattro vandali provenienti da Cracovia hanno fatto un balzo in avanti rispetto al lavoro precedente, già buono. In “Into Certain Death” la band è pienamente consapevole dei propri mezzi e sembra voler spingere al massimo come una macchina a settemila giri; tutto è preciso, al limite del chirurgico, accompagnato da un’ottima produzione (difficile che la Pagan Records metta sul mercato un prodotto con produzione approssimativa), potente, moderna, ma che al tempo stesso non va a corrompere quel sapore vintage che i pezzi conservano gelosamente. Dalla loro prima demo “War Hawks” del 2012, passando per il debut album “The Hammer Doctrine” del 2016, dai primi concerti nei pub e nei club locali alla condivisione del palco con mostri sacri come Deströyer 666, Angelcorpse, Toxic Holocaust e Cannibal Corpse, nulla ha influenzato quella che è la missione di questa band, che mai come oggi ha le idee ben chiare: distruggere tutto a colpi di black/thrash grezzo e bellicoso, senza compromessi né misericordia.
Un massacro, dicevamo: i due minuti scarsi dell’intro servono giusto per acclimatarsi nell’atmosfera ottantiana del disco, con qualche birra ghiacciata, i nostri affezionati jeans elasticizzati e il vecchio skate che avevamo riposto cantina, che “We Are The Hammer” è subito lì pronta ad aprirci la faccia con il suo impatto devastante. Da qui in poi non ci sarà un attimo di relax e, nonostante la brutalità della proposta, tutto filerà in un attimo, grazie alla bravura della band che riesce a non scopiazzare troppo e a non risultare troppo derivativa. Groove, attitudine e un riff dietro l’altro che farebbero camminare il povero Lazzaro: la fusione bellicosa e primitiva di thrash e speed, con qualche infarinatura di black e death primigenio, prende forma in tracce devastanti come “Jesus Goat” o la pazzesca “Peace”, che ci regala un break centrale dalla potenza di una granata, passando per “Omega Red”, con i suoi cori in clean vocals nella parte finale ad abbellire un pezzo già di per sé adorabile. In conclusione una mini suite di quasi dieci minuti, “Prophet Of Genocide Part II (Mother Winter Eternal)”, dove la band mette le cose in chiaro, dimostrando di non sapere solo schiacciare il piede sull’acceleratore ma anche di calibrare al meglio il vecchio epic metal, pur sempre rabbioso, al thrash più devastante (da ascoltare lo stacco pazzesco a metà song).
Un disco che ha nella coerenza e nella perseveranza i suoi punti di forza: questi soldati del metallo con ferocia e abnegazione infilano dieci siluri con ritmo infuriato direttamente nella nostra testa, come se fossero i pugni di Broke Lesnar. Se avete poco tempo e volete ascoltare in un solo colpo thrash malato, speed metal d’altri tempi e qualche bordata black, “Into Certain Death” è il disco che fa per voi, innalzando sempre le corna al cielo nel nome di Sodom, Bathory, Venom e compagnia caprina.