Shatraug dev’essere a tutti gli effetti una persona iperattiva. Oltre alla sua risaputa fede nel verbo più nero del metallo oltranzista, il mastermind di Horna, Sargeist e chi più ne ha più ne metta, deve averci preso davvero gusto a produrre svariati dischi all’anno con le sue ormai innumerevoli band. A distanza di pochissime settimane dal discreto nuovo disco degli Horna, finalmente troveremo sugli scaffali l’esordio sulla lunga distanza degli Striges, ennesima creatura indemoniata del chitarrista finnico, con la quale può esprimere tutta la sua ferocia incontrollata nel modo più ortodosso possibile. Nati nel 2007 come semplice one man band, dove il nostro beniamino si occupava di tutto, esordiscono lo stesso anno con una demo, alla quale ne fa seguito un’altra sei anni dopo, e una compilation edita all’inizio del maledetto 2020, contenente i due lavori citati. “Verum Veterum” è l’album di debutto e ci si scaglia contro come un camion senza freni ad altissima velocità, segnando l’ennesimo capitolo dell’ormai immensa discografia dell’iconico chitarrista. Ma c’era davvero bisogno dell’ennesima band che suona classico black metal vecchia scuola di stampo prettamente finlandese? Ovviamente la risposta è rigorosamente soggettiva: se da una parte la qualità contenuta in questi quaranta minuti di musica è evidente, dall’altra è innegabile che si tratti di un lavoro che, per le sue sonorità eccessivamente tradizionali e monolitiche, rischierà di finire ben presto nel dimenticatoio.
I sette capitoli morbosi che compongono questo album sono davvero il male in terra: black metal fine a sé stesso, velocissimo, violento, oscuro e misantropico, dove la classe dei tre musicisti riesce ad emergere sin dalle prime battute grazie a un’interpretazione tanto precisa quanto cinica. Chi gradisce un pizzico di sperimentazione, suoni più ricercati, atmosfere rarefatte o quant’altro, deve tenersi lontano da questo disco come se fosse il suo più acerrimo nemico. “Verum Veterum” è un massacro collettivo, una rissa tra hooligans ubriachi dalla quale veniamo travolti senza scampo: classico approccio melodico finlandese, associato a quel sapore sulfureo tipico della scuola norvegese, con sonorità che ti prendono e ti trascinano dritto negli inferi per un viaggio di sola andata. Ascoltando il disco ci si rende conto che, al netto di qualche rallentamento o cambio di tempo (ad esempio il riff iniziale di “Parched With Eternal Thrist”), i minuti senza blast beat su una durata complessiva di quaranta, saranno probabilmente meno di cinque; il che crea un caos sonoro che rischia di generare confusione nell’ascoltatore meno attento, il quale, con tutta probabilità, potrà confondere le tracce tra loro, per via delle similitudini soprattutto negli attacchi iniziali. Ineccepibile la tecnica della formazione, che suona come posseduta da non si sa quale dio sumero, capace di dotare di forza inumana il drummer LRH (fratello di Spellgoth e compagno d’armi negli Horna), un’autentica drum machine umana capace di una prestazione poderosa, tanta è la ferocia con la quale violenta le pelli.
D’altro canto le vocals di Vaedis, se ricalcano uno standard azzeccato per la tipologia di disco, alla lunga tendono a diventare inespressive, in quanto, oltre allo scream e ad eccezione di qualche controcanto in clean, il nostro non ha un range vocale ampio, diventando spesso monocorde. Del resto è difficile descrivere i vari pezzi, come detto molto simili tra loro, perché gli Striges puntano al massacro generalizzato: brani come l’opener “Scourge Of The Ages” o la conclusiva “An Ancient Mournful Soul”, passando per la devastante “Summoning The Sorceress Of The Moon”, sono a tutti gli effetti inni di violenza più esasperata di quella espressa dai cugini Horna negli ultimi tempi. “Verum Veterum” probabilmente passerà inosservato e non lascerà il segno nella storia del metal estremo: non si tratta di un disco pionieristico ma semplicemente di una tromba d’aria che si scaglia con furia su tutto ciò che incontra; tuttavia c’è da ammirare l’abnegazione di questi artisti, che dopo oltre vent’anni continuano la loro personale guerra contro ogni forma di trend o moda. Un disco violento, estremo come solo il black metal più ortodosso sa essere, senza lasciare spazio ad ammiccamenti verso modernità, evoluzioni o influenze esterne: il tempo si è fermato rendendo questo “Verum Veterum” piacevolmente vintage, al limite dell’anacronismo.