Gli Stormcrow sono in attività ormai da oltre un ventennio. Dalla demo d’esordio “Hell On Earth” del 2000, passando per l’ep “Wounded Skies” del 2004 e il debutto sulla lunga distanza “Disposition To Tyranny” del 2012, fino ad arrivare all’ultimo full length “Face The Giant”, che risale ad un paio di anni fa, oltre naturalmente ad un’intesa attività live, i nostri possono considerarsi una solida realtà nell’ambito della scena underground black metal, italiana e non solo. È quindi con grande piacere che andiamo a scambiare qualche parola con loro, per fare un po’ il punto della situazione in casa Stormcrow, svelando anche qualche risvolto filosofico dell’alpinismo, disciplina che ha rappresentato il focus concettuale della loro ultima fatica in studio. Buona lettura!
Salve ragazzi, il vostro nome ormai è in circolazione da un bel po’ di tempo nel campo dell’estremo. Com’è mutato il gruppo in questo lasso di tempo?
Ciao Alan, innanzitutto grazie di questo spazio. In effetti negli Stormcrow la prima formazione è stata completata poco prima della registrazione del nostro demo “Hell On Earth”, quindi direi che è passata molta acqua sotto i ponti, dal punto di vista della line up, dello stile e dei contenuti, nonchè delle ispirazioni. In generale il desiderio, che credo si rispecchi nella nostra musica, è sempre stato quello di scavare nelle profondità dell’essere, sfruttando le nostre predisposizioni e percezioni musicali. E quale modo migliore di coniugare la pratica della disciplina dell’alpinismo ad una trascrizione musicale di quanto di più severo, sconvolgente e trasfigurante possa esserci nell’universo delle cime? Così nasce la nostra ultima fatica, “Face The Giant”, fra esperienze vissute arrampicando come rettili fra rocce arroventate piuttosto che compiendo il faticoso rituale dell’ascensione sopra i 4000m. Sono anche esperienze vissute con la fantasia, grazie ai racconti dei protagonisti, penso ad esempio al testo del brano “Nanga Parbat”, in cui ho reinterpretato il racconto scritto da Hermann Buhl della prima salita a questa cima di 8126m compiuta in solitaria nel 1953, a tutt’oggi una delle più grandi imprese alpinistiche di sempre. Cosa c’è nel mondo delle vette che riesce a sublimare orrore, meraviglia, vita e morte, e che dona la possibilità di accesso a una consapevolezza superiore di sè? “Face The Giant” è forse il nostro tentativo di rispondere a questo interrogativo in musica.
L’anno 2000 ha segnato il debutto degli Stormcrow con la demo “Hell On Earth”. Che ricordi conservate, sia in positivo che in negativo, di quel periodo?
In realtà personalmente ho solo ottimi ricordi di quel periodo, è stato entusiasmante vivere, anche se per poco, in un tempo in cui se una band aveva voglia e capacità emergeva punto e basta. Poi sono iniziati i vari pay to play e sponsorizzazioni facebook/instagram che hanno tolto credo un pò di mood nella promozione agli artisti come noi. Non mi piace pensare di dover gestire una band come se fosse un’azienda perchè non lo è.
Potete descrivere “Face The Giant” nominando delle vette da quelle più famose a quelle meno conosciute?
Penso di poter fare qualcosa di più, queste sono le coordinate dei luoghi che associo ai brani di “Face The Giant”, buona ricerca a chi vorrà testare queste associazioni!
I) 27°57′32″N 86°49′29″E
II) 45°55′33″N 7°49′51″E
III) 45°55′20″N 7°47′40″E
IV) 35°14′21″N 74°35′24″E
V) 38°55′N 72°01′E
VI) 46°41’44″N 8°30’35″E
VII) 49°17’34″S 73° 5’52″O
VIII) 45°18′00″N 7°07′00.01″E
Nel retro cover del digipack viene raffigurato un cunicolo attraverso il ghiaccio, mi potete dire dove èstata scattata questa foto?
La foto in questione ritrae un dettaglio della parete Est del Monte Rosa, la più grande parete glaciale delle Alpi, teatro fra l’altro delle riprese che ho effettuato, questa volta in qualità di videomaker, per il videoclip di “Nanga Parbat”. Accade che ghiaccio e roccia sono due elementi forzati a una vicinanza che non si trasforma mai in un’effettiva coesione, il calore della terra fa sì che centinaia di metri sotto la superficie, alla base del ghiacciaio si formino veri e propri corsi d’acqua di fusione, recentemente sempre più alimentati dal devastante riscaldamento globale. Gran parte di questo enorme flusso viene convogliato in questa porta dall’aspetto così evocativo.
La vostra ultima creazione è incentrata su tematiche alpine, come si può ben vedere dalla grafica delbooklet , e nei testi del prossimo disco invece di cosa parlerete? Un concept su Julius Evola potrebbe essere un’idea per il futuro?
Personalmente siamo più propensi a mettere in musica le nostre esperienze, che ti assicuro non mancano, e se devo pensare a un’ispirazione esterna, in questo momento sarei forse portato a ricercarla in una fonte più letterario/poetica che filosofica. Anche qui gli spunti non mancano, soprattutto considerando quanto un’esperienza come l’alpinismo si svolga su una moltitudine di livelli contemporaneamente, spaziando da quello simbolico, che quindi attiene all’astrazione più pura, a quello che chiama in causa le parti più antiche e primordiali del nostro cervello, il cosiddetto cervello rettile, che gestisce l’elaborazione e la gestione degli stimoli più vitali come paura, aggressività, fame etc, quindi strettamente biologici.
In che modo la vostra musica viene apprezzata all’estero e in Italia? E in cosa si differenzia il modo di lavorare da parte di produttori e organizzatori stranieri rispetto a quelli italiani?
In questi anni non sono mancati gli apprezzamenti sia nella nostra terra che all’estero. Credo che per una band siano sempre importanti entrambe le cose, anche se tutto sommato è forse più complesso essere apprezzati nel proprio paese, gli antichi dicevano infatti “nemo propheta in patria”, intendendo proprio che difficilmente si riesce ad essere debitamente apprezzati nel proprio luogo di nascita. Forse tutti i popoli sono un po’ esterofili sotto sotto, per questo a volte si ha l’impressione di venire considerati maggiormente all’estero. Uscendo un attimo dal discorso prettamente musicale, noi italiani abbiamo una sequela di evidentissimi e a tratti imperdonabili difetti, ma credo anche che abbiamo una marcia in più rispetto a molte altre culture. Non fraintendiamo, non è un nostro merito, è una nostra fortuna… d’altra parte mentre qui si costruivano acquedotti gli altri popoli mangiavano fondamentalmente ancora bacche e topi… Per quanto riguarda gli addetti ai lavori qui in Italia non abbiamo davvero nulla da invidiare a nessuno, a partire dai musicisti, passando per producer, managements e booking. Fra gli assoluti professionisti che posso citarti ci sono Carlo Meroni – A.D.S.R. Decibel Studio, che si è occupato del mix e mastering di “Face The Giant” e del recente remastering digitale del demo “Hell On Earth”, precedentemente disponibile solo incassetta, ora presente su tutte le piattaforme digitali. Saverio Mollica e la sua Cerberus Booking, che ci accompagna nella promozione della band, e ValerioPossetto di Leynir Booking, che si occupa della gestione degli eventi live e che ci ha recentemente permesso di poter schedulare una data bomba con i Dark Funeral in quel di Zurigo.
La cosa che mi ha sempre incuriosito è il vostro logo con il corvo, questo animale così bello e feroce: cosa rappresenta e vi influenza in qualche modo quando vi esibite live?
Il corvo è un animale certamente affascinante, la sua simbologia è presente in molte culture, famosa la sua figura nella cultura vichinga, meno nota forse la sua presenza come tappa di trasformazione all’interno dei culti marziali Mithraici. Associato dall’oscurantismo con la sventura, il corvo rappresenta invece soprattutto il messaggero verso il divino e come tale, simbolicamente, una forza fondamentale verso la rinascita di tutte le cose. Personalmente, se sapessi di riuscire a portare anche solo una parte delle caratteristiche di questo animale all’interno delle nostre performance live, ne sarei più che onorato, ma questo lo lascio giudicare a chi sarà presente sotto il nostro palco.
Le ultime parole sono vostre…
Grazie ancora Alan, le lascio volentieri invece alla voce del mio maestro e amico Oliviero Bellinzani, grande alpinista che con una sola gamba scalò più di 1500 cime prima di scomparire dolorosamente nel 2015: “Se si vuole ottenere molto bisogna essere disposti a pagare molto, soltanto così è possibile entrare dentro le cose, oltre l’apparenza, fino a viverle, a sentirle come proprie, persi in una dimensione atemporale. È l’infinito che irrompe, che pretende il suo spazio“.