La piccola ma agguerrita etichetta lituana Inferna Profundus Records, specializzata in prodotti di natura ultra underground nel suono, nell’attitudine e nella distribuzione, ci propone in versione lp questo debutto sulla lunga distanza dei Martwi, ensemble anglo-polacco formato da M. alla voce, Nagrobvozwartre alla chitarra e Vormidreb Vehrzmarther al basso e alla batteria, con Revenant Marquis ad occuparsi delle liriche, tutti già membri di realtà oscurissime e dedite al black metal nella sua forma più nebulosa ed evanescente, come appunto Revenant Marquis (del quale ci siamo occupati in occasione dell’uscita di “Youth In Ribbons”), Vermisst e Capel Beluah. Com’è facile pronosticare, questo “Dangoswch Eich Darnau Gwyn I Mi” si pone sostanzialmente sulla stessa lunghezza d’onda, andando così ad ingrossare le fila dei molti (forse troppi) prodotti black di questo genere, che soprattutto negli ultimi anni sembrano davvero uscire senza sosta, intasando una scena già di per sé satura da almeno un ventennio: quel genere di prodotti tutti tradizione e zero innovazione (date pure a questi termini il significato che preferite), che più che sulla qualità puntano sull’aura malefica e sull’impatto emotivo che queste sonorità sono comunque ancora in grado di scatenare, a volte perfino negli ascoltatori più smaliziati ed abituati al marciume black nelle sue varie forme. In questo caso siamo dalle parti delle Black Legions e delle attuali scene raw black metal iberica e statunitense: un sound estremamente low-fi ed una registrazione artigianale incorniciano una proposta che fa delle atmosfere evocative, orrorifiche e cimiteriali il proprio (direi unico) punto di forza.
Il riffing riverberato all’inverosimile si espande come la nebbia d’autunno nella brughiera (o nella steppa, fate voi) di prima mattina e la sezione ritmica resta a dir poco sullo sfondo, fornendo all’ascoltatore scarsissimi punti di riferimento: lo screaming non è nient’altro che il lamento lontano ed inconsistente di fantasmi torturati, tanto è pieno di echi e distorsioni. Ciò che può affascinare in un’uscita di questo genere non è certamente l’effetto sorpresa (si tratta di un approccio ben noto e perfino abusato), quanto piuttosto l’indubbia capacità della band di dare corpo alle sensazioni che intende trasmettere attraverso la propria musica, con l’utilizzo sapiente di pochi elementi e con una granitica coerenza d’intenti: naturalmente bisogna accontentarsi, ma è molto facile perdersi negli scenari dipinti dai nostri allegri amici, immaginando scene degne di un vecchio albo di Dylan Dog o di qualche film classico della Hammer, tra castelli in rovina, spettri che ritornano e lupi mannari assetati di sangue.
Questo piglio “descrittivo” a mio giudizio è una delle cose più interessanti dell’album ed è ben sottolineato dall’uso insistito delle tastiere, che a volte fanno da contrappunto alle chitarre ed in moltissimi casi prendono l’assoluto sopravvento, diventando protagoniste dei pezzi, che in molte occasioni assumono le sembianze di duetti voce/synth o di suite che sconfinano in territori puramente ambientali, ai confini con il dungeon più oscuro: ed anzi direi che, nel complesso, questi momenti risultano addirittura più riusciti rispetto a quelli dove invece domina l’elemento black. In definitiva “Dangoswch Eich Darnau Gwyn I Mi” non rivoluzionerà di certo la scena ma merita un ascolto: sia perché rispetto alla media delle uscite dello stesso tipo è concepito e suonato con maggiore cognizione di causa, sia come mera testimonianza di un certo modo di intendere l’underground, al quale continuiamo comunque a restare tutti in qualche modo legati.