Dice il proverbio che non bisogna mai giudicare il libro (o, in questo caso, il disco) dalla copertina. Per “Eternal Flame”, terza fatica sulla lunga distanza del power trio portoghese Armnatt, che segue i precedenti “Darkness Time” e “Dense Fog”, pubblicati rispettivamente nel 2014 e nel 2020, si potrebbe forse fare un’eccezione. È sufficiente infatti dare un’occhiata, anche rapida, ai titoli dei pezzi, che inneggiano ad ombre, oscurità e fiamma eterna; alla foto promozionale e all’artwork nel minimale bianco e nero d’ordinanza; al logo, che utilizza gli ormai stra-abusati caratteri gotici senza alcun particolare design; insomma basta prendere in considerazione l’involucro per intuirne immediatamente il contenuto, che andremo ad ascoltare una volta premuto il tasto play: e in questo caso ci si azzecca! Gli Armnatt sono attivi da quasi dieci anni e vanno ad inserirsi completamente e a buon diritto nel solco di quella tradizione raw black metal lusitana che, nel corso dell’ultimo decennio almeno, sta sfornando gruppi a ripetizione, alcuni abbastanza interessanti, altri molto meno (cito a titolo di esempio, tra le ultime uscite delle quali ci siamo occupati su queste pagine virtuali: “Retarded Necro Demential Hole” dei Vetala, “Untitled” dei Mons Veneris, e “Lurking In The Dephts” degli Irae), raccolti intorno ad etichette specializzate, come la Black Gangrene Productions e la Signal Rex, sotto l’egida della quale viene pubblicato questo album. Al netto dell’alone di culto che inevitabilmente circonda questo tipo di realtà, possiamo affermare in tutta tranquillità che questo “Eternal Flame” è un album assolutamente prevedibile: classico raw black metal funesto e malevolo, che pesca a piene mani dai Darkthrone del periodo che va da “A Blaze In The Northern Sky” a “Panzerfaust”, dai Gorgoroth di “Pentagram” e di “Antichrist”, così come dalle Légions Noires francesi, facendo propri quell’attitudine autarchica, quel sound incredibilmente criptico e zanzaroso e quella registrazione artigianale e da cantina, che ancora oggi mandano in visibilio i die hard fans del black metal più duro e puro, senza compromessi di sorta.
Questo è ciò che fanno gli Armnatt, premendo quasi sempre l’acceleratore e prediligendo, salvo poche eccezioni, tempi veloci e sostenuti, un riffing particolarmente gelido e serrato ed uno screaming monocorde, ossessionante e demoniaco, senza far mancare i consueti intermezzi ambientali, che in questo caso sono comunque abbastanza ridotti e prendono la forma di rumori della natura e di passi sulle foglie secche del bosco, che evocano suggestioni pagane dal sapore arcano: e lo fanno senza particolari pretese, se non quella di recuperare una certa tradizione “true”, esaltandone i tratti salienti e significativi, che tutti quanti conosciamo a menadito almeno dalla metà dei gloriosi anni novanta, e trasportandoci piacevolmente indietro nel tempo, in un’epoca nella quale in effetti del black metal si sapeva ancora poco e tutto era ancora ammantato da una nebbia misteriosa e sotto certi aspetti mitica, tra le più disparate dicerie alimentate dalla cronaca nera.
E non ci sarebbe nemmeno bisogno di proseguire oltre nella descrizione di un disco, il cui ascolto equivale a ripercorrere per l’ennesima volta un sentiero ben noto, tra paesaggi oscuri e lunari che ci sono assolutamente famigliari, ma nei quali tuttora molti amano perdersi, magari con un pizzico di nostalgia, nel rimpianto dei vecchi, bei tempi andati. La proposta degli Armnatt, così monolitica e minimale, risulta nel complesso meno interessante di quella di altri colleghi lusitani, devoti come loro alla causa della nera fiamma, ma questo non impedisce ai nostri di costruire episodi sonori comunque validi, pur nella loro totale aderenza ai canoni del genere prescelto, come ad esempio “Black Moon”, la title track o la più cadenzata “Hordeland”. Se questo disco fosse uscito nel 1995 sarebbe magari anche potuto diventare un piccolo classico; si sarebbe parlato di “musica elitaria” e quant’altro: oggi, con meno ridondanza e più realisticamente, possiamo dire che si tratta di un discreto revival, senza dubbio onesto e sincero, che tuttavia mi sento di consigliare solo agli irriducibili e ai completisti.