Parlare di un disco come “Distanz” potrebbe risultare superfluo, considerato che abbiamo a che fare con un lavoro che rappresenta alla perfezione quello che può essere definito black metal nella sua più classica accezione, anticristianesimo a parte. Il combo di Lipsia torna, a distanza di un anno dal buon debutto “Ambivalenz”, che aveva positivamente sorpreso, e lo fa in maniera del tutto anonima, senza pubblicità, singoli di lancio, internet o varie amenità. Gli Zwiespalt sono una di quelle band che, a oggi, rappresentano al meglio il concetto di black metal nella sua più primitiva forma underground, considerato che di questa band non si sa praticamente nulla, tranne che suonano con una ferocia da primati, da fare invidia alle prime formazioni del genere di inizio anni novanta. Se con il primo disco avevamo tra le mani un lavoro scarno, brutale e vintage, con queste nuove otto tracce il discorso non cambia di una virgola, anzi, sembra di ascoltare il suo naturale prosieguo, tra blast, urla laceranti e tempeste di ghiaccio. Nulla è cambiato, tra song brevi e letali, suoni zanzarosi e taglienti, così come il layout della cover, quasi identica alla precedente, che ha colpito la nostra attenzione grazie al glaciale paesaggio riportato nella foto scattata in una località vicina a Lipsia, dove i nostri tre eroi vivono e si divertono allegramente fermi nel loro 1992. L’attacco di tremolo in “Firmament”, così come le sfuriate epiche di “Zenit” e “Frost”, sono il loro biglietto da visita, e non importa se la colonnina di mercurio adesso inizia a segnare piacevoli temperature primaverili oltre i venti gradi, perché con questo disco si scende sotto lo zero con una facilità disarmante. Nel suo essere diretto e semplice, “Distanz” racchiude in sé una sorta di concept profondo e di non facile comprensione, in quanto parla dell’“irraggiungibile”, inteso sia come metafora che come circolo della vita, visto interiormente da una persona.
Si tratta di un viaggio in solitaria con il desiderio di raggiungere le stelle, che inizia dalla prima traccia, raccontando di una notte estiva, per poi, brano dopo brano, progredire temporalmente, attraverso l’autunno, sino a finire nelle desolate e fredde giornate invernali. Nei testi la band riesce a rappresentare la natura circostante in questo particolare viaggio, descrivendo campi inariditi dalle tempeste e la nebbia che avvolge le foreste, usando queste stesse immagini per descrivere i pensieri e i sentimenti del protagonista mentre riflette sul passato. Tra tremolo, blast beat e tutti gli ingredienti tipici del black metal puro e d’annata, complice una produzione scarna ma efficace, dove i suoni bassi latitano per dare spazio a sferzate acute e glaciali, gli Zwiespalt tirano fuori un buon disco, che farà felici gli amanti di tutte quelle sonorità tradizionali, che ci riportano indietro nel tempo senza utilizzare alcun tecnicismo o ausili tecnologici. È questo il segreto della band: suonare facile, diretto, rigorosamente in analogico e in presa diretta, per colpirti in piena faccia come il nostro vecchio amico antenato con la sua clava. Un piccolo aneddoto, raccontatoci dal chitarrista Forest in persona: “la batteria e la chitarra sono state registrate dal vivo il 26/11/2020 qui a Lipsia, mentre le parti vocali sono state aggiunte in seguito. Un fatto divertente è che questa data è esattamente trenta anni dopo che i Mayhem hanno suonato nel famoso e immortale concerto proprio qui a Lipsia nel 1990”. Solo questo è più che sufficiente per dare una chance a questa band.