Il bello dell’underground estremo metallico è che, in un mare di roba inutile, scopiazzata, senza alcuna personalità, suonata male e prodotta peggio, con tanta pazienza e scavando in profondità, si possono scovare piccoli tesori nascosti e perle sorprendenti. È il caso di questo “Dogme Et Rituel De La Haute Magie”, ep d’esordio dei Necromantical Invocation, originariamente pubblicato in formato tape dalla misconosciuta Zombie Danz Records, e nel giro di pochi mesi ristampato in cd e vinile 12”, rispettivamente dalla Helter Skelter Productions e dalla Regain Records, due etichette certamente più note, che possono garantire una distribuzione ed una visibilità che renda giustizia all’elevata qualità della musica proposta. Si tratta dell’ennesimo progetto che arriva dalla Grecia e che vede protagonista Echetleos, personaggio molto attivo sulla scena e conosciuto per la sua militanza in gruppi quali Caedes Cruenta, Kawir, Ithaqua e Walpurgia, tra gli altri. Con Necromantical Invocation, progetto che era nato nel 2014 ma che solo oggi approda al debutto, il nostro esalta il lato più oscuro, rituale e (se vogliamo) avanguardistico della sua creatività musicale, unendo il tutto ad un concept legato alla negromanzia, alla magia cerimoniale e alla divinazione, sullo sfondo dell’evocazione dello spirito di Apollonio di Tiana da parte dell’occultista Eliphas Levi, che quest’ultimo racconta in suo libro dal quale è preso il titolo dell’album. L’intro e l’outro sono due piccoli capolavori di dark ambient/dungeon synth, due pezzi molto curati e suggestivi, caratterizzati da parti recitate da un’avvolgente voce femminile da sacerdotessa, che declama in lingua madre antichi ed incomprensibili incantesimi, andando ad incorniciare alla perfezione quello che è il vero cuore del lavoro, costituito dalla doppietta di canzoni centrali.
“Necromantical Ritual” dura dieci minuti ed è uno stupendo concentrato di black metal dal sapore mediterraneo, anzi greco fino al midollo, completamente scevro da influenze scandinave, con il basso ben in evidenza, a tessere le sue trame oscure; un riffing catacombale, secco e lineare; le classiche influenze heavy ottantiane ed uno screming rauco e polveroso. Il tutto esalta alla perfezione il feeling magico del pezzo, sul quale inevitabilmente aleggiano i fantasmi dei vari Necromantia, Morturay Drape e primi Samael (ma direi anche Sigh e King Diamond): un gioiellino che si inserisce alla grande nel solco della tradizione black ellenica, che negli ultimi anni ha visto emergere nuovi, interessanti gruppi, e tornare alla ribalta vecchie glorie, e che lo stesso Echetleos sta contribuendo a mantenere più che mai viva.
Il piglio si fa ancora più mistico e decisamente teatrale nella successiva title track, sontuosa suite di oltre quindici minuti di durata, nella quale il black metal viene accantonato per fare spazio ad influenze diverse, che vanno dai Dead Can Dance a certo folk apocalittico, reinterpretato in chiave romantica e misteriosa, come se si trattasse di musica da camera o della recitazione di un incantesimo scoperto in qualche impolverato ed ingiallito libro di magia: una lunga litania che si regge su semplici note di chitarra acustica, con la voce maschile che si alterna in maniera molto efficace ai vocalizzi femminili, le tastiere che sottolineano i momenti cruciali e il basso, sempre in primo piano, a dare corpo e profondità al suono, intrecciandosi elegantemente alle percussioni in passaggi che mettono in evidenza un certo gusto per l’improvvisazione e, come si diceva, una certa attitudine avanguardista e sperimentale: nella parte conclusiva fa la sua comparsa perfino il sassofono, strumento notturno e assai suadente (come sanno bene i Carpathian Forest, che lo usarono in alcuni pezzi), il cui utilizzo nel contesto colpisce assolutamente nel segno. Certo, se cercate un approccio integralista al black metal, potete tranquillamente rivolgere altrove le vostre attenzioni: qui infatti abbiamo una rivisitazione personale (ed eccezionalmente fresca) di alcuni luoghi comuni ma anche ampie variazioni sul tema ed escursioni in territori musicali lontani, ma quanto mai affini. In definitiva ritengo che sia molto più “black metal” questo disco, sia a livello concettuale che a livello musicale, con il suo amalgama di stili ed influenze comunque ben piantato nella vecchia scuola, rispetto alle decine e decine di album clone che riempiono settimanalmente la nostra casella di posta: un ep (ma la durata è in sostanza quella di un breve full length) da scoprire e centellinare come un buon vino, che non assurgerà forse al rango di capolavoro ma che ha tutte le carte in regola per poter divenire negli anni un disco “di culto”.