Costanza, prolificità e una continua evoluzione: queste sono le caratteristiche della band di Nivala, che non accenna a fermare la sua scalata al trono di migliore band underground finlandese, con ormai all’attivo un ep, tre split e sei full length, in appena dieci anni. “Shiva” prosegue il percorso che iniziò con “Alla Kirkkaimman Tähden”, sfruttando al massimo quelle soluzioni melodiche che, già in “Rukous” prima e in “Tie On Hänen Omilleen” poi, furono enfatizzate in molti episodi e qui dominano su tutto il lavoro, spiccando per maturità e un superiore livello di attenzione compositiva. A partire dalla cover capiamo di avere a che fare con un lavoro atipico:il bianco, l’oro e il rosso sangue la fanno da padroni, aprendoci la porta a un vero e proprio viaggio mistico nello spirituale mondo dei Goats Of Doom. Questa volta la band spinge al massimo sul connubio tra chitarre e vocals, che raggiunge la perfezione e in certi casi sfiora l’etereo, grazie al costante alternarsi di asce meno distorte e melodiche, in stretta collaborazione con clean vocals ben studiate e posizionate in punti strategici, creando un sound che risulta essere un vero e proprio marchio di fabbrica: i suoni si sono fatti più morbidi e possono ricordare quelle sonorità tanto care al post punk –dark wave ottantiano, con suoni acuti e scarni, che si alternano al più canonico tremolo nelle parti più tradizionalmente black, facendoci fare un balzo indietro nel tempo tra capelli cotonati e ombretto nero, ma con il consueto armamentario di vestiti di pelle addobbati con croci rovesciate. E se a un primo ascolto si rischia di rimanere spiazzati, al secondo ne rimarrete affascinati, mentre dal terzo in poi “Shiva” diventerà una costante nelle vostre giornate; una tempesta di riff vi travolgerà senza darvi punti di riferimento e senza farvi capire cosa state ascoltando,lasciandovi inermi e confusi: solo dopo aver assimilato e guardato dall’alto il magico disegno dei Goats Of Doom riuscirete a capire la grandezza di questo disco.
L’attacco di “ἀπōκάλυ” vi farà pensare di aver messo nel lettore un disco dei primi Offspring ma dopo pochi secondi le vocals acide vi faranno tornare sulla terra, grazie alle bordate black metal che ne seguono, e stesso discorso vale per “Uljas Uusi Maailma”, dove il riff iniziale sembra realmente uscito da una band punk rock anni novanta, con un ritornello anthemico che entra subito in mente, rispecchiando la mentalità del disco, quell’immediatezza con spiccioli di ironia in un’aura magica e oscura,senza però mai dimenticare il caro black metal di stampo vintage. Sembra proprio che la band voglia superare i limiti, tanta è la solarità nelle melodie di questo platter, e se “Luomiskertomus” è un brano più canonico, le successive “Armon Varjot” e “Korjuu”, tra chitarre ariose, sezioni acustiche e clean vocals, sono dei veri e propri capolavori fuori dal coro, dove la band sperimenta, tra soluzioni old school, progressive, punkeggianti, folk, shoegaze e chi più ne ha più ne metta.
In chiusura non mancano ulteriori sorprese con “Rotat”, che richiama stilemi cari alla NWOBHM, e la title track che manda tutti a casa nella maniera più epica e solenne, distaccandosi nettamente dalle altre composizioni per via di soluzioni sognanti,con atmosfere orientali che abbelliscono la canzone in più momenti. “Shiva” rappresenta probabilmente il disco di svolta per i Goats Of Doom, nel quale riescono a concretizzare più che mai alcune idee che erano presenti nei precedenti lavori in maniera embrionale,e pure questa volta non sbagliano, anzi continuano ad alzare l’asticella in maniera netta e decisa con un platter che mette in mostra, oltre che la bravura dei singoli musicisti, un guitar work mostruoso e, soprattutto, un songwriting coraggioso, personale, intimo e mai derivativo, che avrebbe tutte le carte in regola per far compiere definitivamente alla band il salto nel mondo “mainstream”, o almeno oltre i ristretti confini dell’underground.