Ci siamo occupati sulle nostre pagine virtuali di questa one man band nostrana, dietro la quale si cela il mastermind e factotum P., fin dall’uscita delle prime demo, intitolate rispettivamente “I” e “II”, del successivo split in compagnia dei Dig, e del full length di debutto, “Le Tèmps Detruit Tout”, che risale all’ormai lontano 2012. Da quel momento il progetto Phantazo (che in greco antico significa “apparizione”, da cui “fantasma”) sembrava essere stato riposto in soffitta: ora però, dopo uno iato di ben nove, lunghi anni, rinasce dalle proprie ceneri e torna in pista con questa nuova fatica sulla lunga distanza, autoprodotta, che riprende le sonorità del suo predecessore, reinterpretandole con una consapevolezza forse maggiore, senza tuttavia snaturarne l’essenza (si tratta comunque di pezzi scritti tra il 2007 e il 2014). Fin dagli esordi infatti il trademark di Phantazo è stato un black/industrial costruito sull’alternanza (direi anzi quasi la contrapposizione) tra un riffing nervoso ed ossessivo, tipicamente black, e tutto il consueto armamentario di “stranezze” industriali, fatto di inserti rumoristici, beats elettronici e ritmici, campionamenti e dialoghi rubati chissà dove: possiamo ritrovare queste strutture di base anche nel nuovo parto di questa creatura, che segue il filo conduttore dei precedenti lavori ma al tempo stesso presenta però anche soluzioni più varie e gestite con maturità, soprattutto per quanto riguarda gli elementi musicalmente diversi e “altri” rispetto al black metal propriamente detto.
E così abbiamo episodi più classici per il genere, come ad esempio l’opener “The Tower Leading Down” o la seguente “Entering Zuggtmoy’s Halls”, sulle quali aleggia minacciosa l’ombra dei Mysticum, tra chitarre vorticose, drum machine chirurgica e claustrofobica (programmata in modo efficace) e screaming filtrato, che mette in evidenza un approccio vocale a metà strada tra il demoniaco e il meccanico.
Ma abbiamo anche brani nei quali si percepisce una maggiore tensione sperimentale, come “Embracing Thy Drugs”, dominata da suoni elettronici ai limiti del danzereccio, che conserva però un’attitudine oscura e riesce a trasmettere disagio urbano in maniera quasi elegante; o la successiva “Binary Esotericism”, dove l’anima elettronica e quella black si fondono molto bene in un continuo rincorrersi, sovrapporsi ed intrecciarsi che rende questo pezzo il migliore del lotto e probabilmente uno dei migliori in assoluto di Phantazo; od ancora “Nature Morte Du Metropole” che, con il suo incedere crepuscolare e cadenzato, ci mostra un’altra sfaccettatura del sound di questa creatura, con echi quasi burzumiani in alcuni passaggi chitarristici. La produzione rende giustizia ad un sound per sua natura sintetico e freddo e si mantiene su un livello qualitativo tutto sommato accettabile per un prodotto underground, anche se avrei gradito una resa più potente per quanto riguarda le chitarre, che in alcune occasioni mi sono parse un po’ troppo affossate ed impolverate: ma è forse un peccato veniale, per un prodotto che in definitiva si rivela convincente ed ispirato ed il cui ascolto consiglio soprattutto agli amanti delle contaminazioni ed a chi cerca atmosfere per una volta diverse da quelle a cui siamo più abituati. La lunga attesa quindi non è stata vana.