Possiamo definire la Cumbria come la nuova Norvegia per quanto riguarda la scena estrema metal? Ce lo siamo già domandati qualche tempo fa e, se una risposta certa al momento può essere difficile, di sicuro possiamo affermare che in questa piccola parte del mondo c’è qualcosa di marcio e profondamente oscuro annidato nelle cantine di qualche casa. La scena black metal locale nell’ultimo decennio sta ricoprendo un ruolo abbastanza importante nel panorama europeo, con un marchio di fabbrica ben definito, non solo per quanto riguarda la provenienza geografica, circoscritta ad un’area effettivamente limitata, ma anche per quanto riguarda la dedizione ad oltranza nei confronti della vecchia scuola. Qui il passato sembra rivivere in maniera fiera e orgogliosa e Hrafn, al secolo Paul Gibson, ne è il portavoce: il leader maximo della band, artefice di tutti gli altri progetti della scena,come Úlfarr, Thy Dying Light,ed anche Skiddaw e Morte Lune, non riesce a stare sereno nemmeno per un momento ed esce sul mercato con il secondo platter dei Nefarious Dusk, con i quali ci sbatte in faccia,senza un minimo di ritegno,mezz’ora scarsa di ignoranza preistorica proveniente direttamente dagli anni novanta. Chi conosce la scena della Cumbria sa già cosa si troverà tra le mani, anche se c’è da dire che questa volta i Nefarious Dusk puntano maggiormente sul “colpire nelle palle il proprio nemico”, senza orpelli o altro: non che il primo disco indulgesse molto nella sperimentazione o nella ricerca di sonorità elaborate, ma in questa nuova fatica (sempre sotto Purity Through Fire) c’è ancora meno spazio per le atmosfere e tutto suona apocalittico, primordiale e post nucleare.
I nostri hanno imbracciato gli strumenti e hanno voluto regalare a chiunque ama l’estremo un disco che, nella loro concezione, va oltre il black metal fine a sé stesso: questa omonima fatica è un vero e proprio tributo alla loro terra natìa; i venti freddi che spianano quelle zone sono rappresentati dal suono agghiacciante e violento che accomuna queste dieci tracce, iconizzando queste lande con un approccio d’altri tempi. Infatti pare proprio di essere tornati a inizio anni novanta, e se nel primo disco, “The Wanderer Of The Cold North”, più lungo e complesso, si dava più spazio ad arrangiamenti maggiormente elaborati ed epici, questa volta la musica cambia, perché i brani hanno una struttura molto simile tra loro, così come le metriche: la band non ha stravolto il proprio sound, semplicemente si è orientata verso sonorità più essenziali e scarne, concentrandosi su soluzioni più concise. Il songwriting qui è fortemente influenzato dai nomi classici del genere, con una sfrontatezza quasi rock oriented che rende il tutto ipnotico e malvagio e sfocia in picchi compositivi come “Cold Shadow Over Trasylvania”, “Master Of The Night” o la conclusiva “Shadows Of Dawn”.
Come dicevamo, ogni singolo pezzo è accomunato da tempi praticamente identici ma la band riesce comunque a conferire una certa dinamicità ai brani, anche se risulta difficile, soprattutto per gli ascoltatori più superficiali, distinguerli l’uno dall’altro, tranne quelli sopracitati, dove risaltano venature più epiche e solenni, così come in “Fallen Kingdom”, unico pezzo con una struttura differente, più lento e marziale ma non per questo privo di violenza. I Nefarious Dusk puntano molto su questo: grazie all’ossessività dei pezzi e al loro ritmo quasi tribale, coinvolgono emotivamente l’ascoltatore più nostalgico portandolo indietro nel tempo; il tutto avvalorato da una produzione fredda e cristallina che permette di valutare le varie sfumature. La band dimostra che si può scrivere musica estrema dannatamente attuale, pur rimanendo fedeli alla tradizione e guardando solo ed esclusivamente al passato.