Tra gli innumerevoli side projects usciti in questi ultimi anni, gli Eisenkult sono tra quelli che hanno destato in noi maggior interesse. Vuoi per gli elementi che formano la band, P. dei Mavorim e Cernunnos dei Meuchelmord / Hohenstein, senza dimenticare l’affidabile drummer Valfor, già in Totenwache e Slagmark; vuoi per la proposta sufficientemente alternativa rispetto a quella dei gruppi di provenienza, il progetto Eisenkult ha dato sin dall’inizio l’impressione di non essere stato creato, come spesso succede, solo per dare spazio a materiale non editabile dalle bands principali dei suoi componenti. Come si era palesato con il buon esordio “…Gedenken Wir Der Finsternis”, questa realtà vuole essere uno sfogo artistico dei due principali mastermind, per unire le loro grandi capacità compositive e generare un connubio che possa risultare riconducibile alle stesse band ma con una ben delineata personalità. Detto così potrebbe sembrare la classica dichiarazione di intenti ma ci troviamo nella posizione di poter affermare che qui si fa davvero sul serio e ciò che questi metallari riescono a tirar fuori in queste dieci tracce è un ibrido bastardo perfettamente in equilibrio tra Mavorim e Meuchelmord, con l’aggiunta di un tocco barocco a rendere il tutto più interessante, sgombrando il campo da ogni sospetto che possa trattarsi di una proposta totalmente derivativa. “…Vom Himmel, Hoch Herab” risulta la perfetta continuazione dell’esordio ma con più personalità e meno sfrontatezza; più complesso e lungo, come se la band abbia meditato più a lungo sulle composizioni, mettendo da parte impeto e furia e generando così un disco dai tratti ben distinti, una bestia domata, della quale ora si conoscono i punti di forza ma pure quelli dove poterla colpire, ma non per questo meno incazzata.
Nei quaranta minuti abbondanti del disco regna l’equilibrio, nel senso che tutto è stato ragionato nei minimi dettagli, cosa ovvia se si pensa ai personaggi che si celano dietro il moniker: un lavoro minuzioso, nel quale lo stile di P. e di Cernunnos si incrociano dando vita ad un sound eclettico e misantropico, dove la mano dei due artisti è perfettamente riconoscibile in ogni singolo minuto, senza che mai l’uno voglia prevaricare sull’altro; e questo è il grande pregio di questa band: unire le forze per un obbiettivo comune. Il disco si apre e si chiude con due strumentali dal sapore magico, brevi pezzi qualificabili come dungeon synth, oscuri e medievali nel loro lento incedere, che dettano il feeling di tutto disco: dopo l’intro si aprono le porte del fatato mondo del “culto del ferro”, tra atmosfere epiche ed ancestrali, con il black metal di stampo teutonico a farla da padrone, tra sfumature più tendenti al folk, sufficientemente marcate in alcuni episodi, e reminiscenze più thrash oriented in altri. È proprio in questi frangenti che i due musicisti si scambiano la penna del copione e, se in brani come “Ein Leib, Ein Feuer” e “Brutal Und Furchtlos Stumpf” si riesce a sentire l’apporto ben distinto di entrambi gli artisti, in “Ein Brunnen Voller Aas” è il marchio di fabbrica Mavorim a prevalere, mentre la complessa “Wir Klagen Deiner Wunden” fa da contraltare grazie al suo riff thrashy d’altri tempi, dove si percepiscono forti echi dei Meuchelmord: ma la bellezza è che questi particolari vengono captati solo da chi è molto attento perché P. e Cernunnos sono stati bravissimi a fondere in questo progetto i propri stili e a coniarne uno inedito.
Il disco fila liscio senza intoppi con alcuni punti di eccellenza, tra i quali la celebrativa “Eisenkult”, vero e proprio inno di guerra, con un ritornello catchy che difficilmente esce dalla testa, già dal primo ascolto. Come quasi la totalità dei prodotti a marchio Purity Through Fire, la produzione risulta eccellente, pulita e ariosa, e rende giustizia a tutti gli inserti atmosferici presenti nei brani, sottolineando la capacità tecnica di tutti e tre i musicisti coinvolti. Inutile dire che questo tipo di proposta è indirizzata a chi naviga con attenzione nell’underground più nero del metal estremo, strizzando però l’occhio a chi cerca nelle sonorità più maledette quella raffinatezza che difficilmente fa rima con estremismo becero.