Sulle nostre pagine virtuali trattiamo quasi esclusivamente black metal ma abbastanza spesso ci siamo occupati anche di dark ambient, due generi apparentemente molto lontani ma in realtà decisamente più affini di quanto si possa pensare, per quanto riguarda attitudine e concept. A Thousand Reasons esplora proprio i territori vasti ed oscuri del dark ambient: si tratta di un progetto solista italiano, dietro al quale si cela il mastermind Zimon, attualmente impegnato nei power/thrash metallers Revoltons ed ex membro dei gothic metallers ScareCrown. Il progetto nasce inizialmente come trio, dedito a sonorità death/thrash, e in questa veste dà alle stampe nell’ormai lontano 2010 l’ep “Strength And Figth”, per poi essere accantonato e riesumato dopo ben undici anni di inattività, con un’impostazione concettuale, e soprattutto musicale, completamente diversa. Questo “Regeneration”, che per il momento esce soltanto in formato digitale, è infatti un viaggio cosmico costruito su lineari intrecci tastieristici, che si snoda attraverso sei episodi che paiono uniti da un comune filo conduttore, da ascoltare quindi in sostanza come se si trattasse di un unico brano. Il dark ambient ha forse perso parte della carica sperimentale che poteva avere negli scorsi decenni ma resta pur sempre un genere che lascia ampio spazio alla creatività, pur essendosi anch’esso irregimentato in una serie di filoni abbastanza canonizzati: c’è il dungeon synth, collegato a tematiche di stampo fantasy; c’è l’ambient rituale; quello più folk o tribale; quello più marziale e industrial, che si lascia magari contaminare da intrusioni noise; e quello più “astrale”, che vorrebbe condurre l’ascoltatore nel gelido vuoto di viaggi interstellari.
Ed è qui che sostanzialmente si colloca la proposta di A Thousand Reasons, caratterizzata da trame di synth minimali e da atmosfere soffuse ed evocative, che sembrano nascondere qualcosa di particolarmente sinistro ed inquietante: l’effetto complessivo non è dissimile da quello di una colonna sonora di qualche videogioco della nostra infanzia o di qualche film horror o fantascientifico degli anni ottanta o novanta, ed infatti si può agevolmente individuare più di un richiamo, non so se voluto o meno, al John Carpenter musicista.
Le partiture elettroniche sono abbastanza funzionali alle sensazioni, di freddo e smarrimento negli sconfinati spazi cosmici, che la musica vorrebbe trasmettere ma, nonostante questo e nonostante la durata piuttosto contenuta del lavoro (circa mezz’ora), il tutto risulta a mio giudizio eccessivamente appiattito sulle stesse soluzioni, che vengono riproposte sistematicamente pezzo dopo pezzo, finendo inevitabilmente per diventare prevedibili (anche perché si tratta di strade già percorse da altri, e più volte) e prive di variazioni e di quei guizzi che le avrebbero potute rendere più interessanti, come ad esempio l’inserimento di pattern ritmici, di qualche dialogo o rumore campionato o di aperture di maggior respiro. Siamo in ogni caso di fronte a quella che può considerarsi a tutti gli effetti un’opera prima e quindi ci sono sicuramente margini di miglioramento: vedremo in futuro quale percorso sceglierà questo progetto.