Una nuova, oscura realtà fa capolino dagli umidi bassifondi dell’underground tricolore. I Lamasthu sono una band di recente formazione, che vede la partecipazione di personaggi già coinvolti in altri progetti come Occultarum, Ad Omega e Infernal Angels: un gruppo che dichiara fin da subito la propria intenzione di restare nell’ombra e nell’anonimato, riparato nei cunicoli cavernosi dove probabilmente è stato registrato questo loro ep di debutto. “Revocatio Inanitatis” ha infatti un suono squisitamente artigianale, ruvido e d’altri tempi, ribassato e pieno di riverberi: una scelta forse scontata e che potrà sembrare a qualcuno fuori tempo massimo ma che in fin dei conti si sposa abbastanza bene con la proposta musicale dei nostri. La band infatti è intenta a creare atmosfere dilatate, ipnotiche, ossessive e dal sapore rituale, attraverso un black metal dai tempi non troppo sostenuti (salvo qualche sfuriata d’ordinanza) che volge sicuramente lo sguardo al passato (nemmeno a dirlo, a primi anni novanta, e forse più alla Polonia degli Infernum e dei primi Graveland e alla Francia delle Légions Noires che al sound tipicamente norvegese), ma sembra farsi influenzare anche da altri elementi, come certe sonorità doom/drone e un certo ambient tetro e malsano, arricchito anche da qualche (piuttosto contenuta, in verità) intrusione rumoristica.
Ciò che ne viene fuori è un monolite nerissimo che mette in evidenza, da un lato, l’adesione a stilemi compositivi ed esecutivi ben noti e, dall’altro, un certo piglio che potremmo definire a suo modo sperimentale, e che lascia davvero pochi punti di riferimento all’ascoltatore perché rifiuta qualsiasi soluzione melodica e (si potrebbe dire, estremizzando il discorso) perfino ritmica, scivolando in una palude di suoni nella quale l’orecchio annaspa senza riuscire a trovare appigli solidi ai quali aggrapparsi, dovendo infine soccombere ed arrendersi alla sensazione di vuoto. Caratteristiche, queste, che potrebbero portare alcuni ad apprezzare molto questo lavoro, che in qualche misura è perfino coraggioso, ed altri a trovarlo pressoché insostenibile, esattamente per gli stessi motivi. Mai come in questo caso ha probabilmente poco senso citare un brano a discapito di altri in quanto l’ep è concepito come un tutt’uno che si dipana attraverso episodi estremamente coesi, come se si trattasse di una sola canzone divisa in quattro parti.
Una resa sonora fosca e pesante e una musica che si diffonde come una nebbia malvagia sul versante in ombra della montagna si accompagnano a liriche che, per prendere in prestito le parole della band stessa, descrivono “un viaggio negli anfratti più reconditi della mente e dell’animo umano, un viaggio che collega l’abisso interiore con quello cosmico, uno come rappresentazione dell’altro”. Come diceva Nietzsche nella sua più celebre ed abusata citazione? Quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro: ecco pressappoco è così e stavolta possiamo utilizzare la frase a ragion veduta. Un lavoro interessante e coerente rispetto alle proprie premesse: per qualcuno potrebbe non essere molto ma tanto basti, trattandosi di un debutto assoluto.