“Apostate black metal”: così chiamano la loro musica gli italiani Argesh, band attiva dal 2010 e formata da Azghal (basso e orchestrazioni), Il Rakshasa (chitarra e testi), Nezer (chitarra) e HHG (chitarra, batteria e voce), che giunge ora all’agognato debutto, direttamente sulla lunga distanza, sotto l’egida della connazionale Nero Corvino. Considerato il lungo lasso di tempo trascorso tra la nascita del progetto e l’uscita di questo primo parto luciferino, con tanto di “strana” copertina caprina, c’è da scommettere che i brani qui presenti abbiano avuto una gestazione piuttosto lunga ed in effetti siamo di fronte a canzoni abbastanza intricate, che restano sostanzialmente nel recinto del black metal ma si lasciano tranquillamente imbastardire da diverse correnti, dal blackened death di ultima generazione a spunti sinfonici più tradizionali. Questo contesto musicale fa da cornice ad un concept di natura filosofica che sembra essere relativo alla possibilità per l’essere umano di prendere coscienza di sé e delle proprie potenzialità, oltre le barriere della “morale comune” imposte in larga parte da retaggi religiosi, e che il gruppo sulla propria pagina bandcamp tenta di descrivere con queste parole: “viviamo in un mondo corrotto da dogmi morali che, inconsapevolmente, influenzano e creano la società in cui ci troviamo. Un circolo vizioso di autodistruzione: Argesh si oppone a tutto questo. Con questo album vogliamo esprimere il nostro disgusto e la nostra avversità con ferocia e senza scrupoli”.
Ci riescono i nostri eroi? Bisogna dire innanzi tutto che la durata contenuta del disco favorisce la concentrazione delle idee, che vengono compresse in canzoni caratterizzate da strutture solide e muscolari, che conservano un’atmosfera plumbea e cupa, pur attraversando al loro interno diversi cambi d’umore: si passa dall’assalto frontale pesante e carico di malevole intenzioni ad aperture orchestrali più maestose e suadenti, che tuttavia mantengono un certo grado di sobrietà, evitando di scivolare nella barocca frenesia che caratterizza alcuni manierismi sinfonici post anni novanta. E questo, a mio giudizio, è un bene perché è evidente che la band italiana è riuscita ad individuare una propria impostazione stilistica e la persegue con convinzione, arricchendo qua e là i brani con elementi che li diversificano (ad esempio rallentamenti e ripartenze, parti recitate, momenti più carichi di groove), pur senza smuoverne la sulfurea coerenza di fondo, che resta intatta anche se alla voce sui vari pezzi troviamo diversi ospiti, ognuno con il suo modo di cantare che però si inserisce piuttosto bene nel quadro del singolo brano e in quello più generale del platter.
Al netto di una produzione che ci restituisce un suono probabilmente troppo polveroso in alcuni frangenti (considerato il genere proposto, personalmente avrei gradito una maggior nettezza, anche se non si tratta certo di un peccato mortale), possiamo apprezzare influenze (o forse sarebbe più corretto parlare di semplici suggestioni) che vanno dai Septic Flesh di “Communion” ai Dimmu Borgir del periodo mediano, quello a cavallo tra “Spiritual Black Dimensions” e “Puritanical Euphoric Misanthropia” per intenderci, fino a lambire (perché no?) i Deathspell Omega meno cervellotici, anche se gli Argesh mescolano abbastanza le carte in tavola e inseriscono pure, in piccola parte, soluzioni leggermente più moderne: si percepisce insomma lo sforzo di dire qualcosa di personale pur entro confini ben delineati, che mi auguro la band possa parzialmente abbattere in futuro.
Se ritenete che un certo blackened death metal suonato con cognizione di causa, che oscilla dal bestiale all’atmosferico, possa fare al caso vostro, allora date con fiducia un ascolto a questo “Excommunica” e non ne rimarrete delusi. Per emergere in maniera ancora più netta nel mare magnum dell’underground estremo forse è necessario compiere ancora qualche passo ma credo che il gruppo italiano abbia la possibilità di farlo. Comunque per ora Lucifero è contento e fa le cornine.