Quarta bomba atomica sulla lunga distanza per i finlandesi, che non placano minimamente la loro folle corsa, dimostrando ancora una volta di essere una delle migliori band in quella nicchia malata di black metal vintage contaminato pesantemente da venature speed e thrash fortemente anni ottanta, senza mai dimenticare di condire il tutto con un tocco di punk acerbo e rudimentale. I finlandesi dopo l’ottimo “Children Of The Atom” riescono a confermarsi con questo “Dark Blood Reincarnation System” senza cambiare una virgola della loro malata proposta post nucleare ma affinandola e tirando fuori dieci mine antiuomo come nella loro tradizione: veloci, brutali, taglienti e maleducate. E se nella copertina (tra l’altro pazzesca) il pene dell’orso mascotte non è in totale erezione come da tradizione, nonostante le dimensioni rimangano considerevoli, la connotazione underground non cambia di una virgola, se non per la produzione che, seppur rimanendo lontana anni luce dagli standard mainstream, si fa apprezzare per una maggiore pulizia dei suoni, che avvalora ed esalta soprattutto un guitar work che è una vera manna in questi quaranta minuti di metallo sparato alla velocità della luce. Nei tre precedenti lavori abbiamo assistito a una crescita esponenziale dal punto di vista tecnico e compositivo di questi tre bastardi provenienti dalle peggiori bettole di Oulu ma questa volta il salto è davvero netto.
La frivolezza delle liriche cibernetiche e il non prendersi sul serio sono rimasti intatti; quel che è cambiato è che la band ora suona sempre più quadrata, seppur non inventando nulla: il sound è di quelli vecchi e sporchi ma che piacciono. Questa nuova fatica è un viaggio intergalattico super frenetico, considerata la velocità sostenuta di tutte le tracce, al netto di “Gashadokuro”, unico episodio più cadenzato del lotto. Davvero impossibile non farsi travolgere da schiaffi come l’opener “Black Magic M16” (il titolo è tutto un programma), il cui ritornello ti rimarrà immediatamente impresso in testa e ti ritroverai a fischiettarlo sotto la doccia.
E ancora brani come “Altered Beast” e “Chromium Death Mechanoid” fanno capire che nel 2021 i Bonehunter sono più che mai guitar oriented, ed è proprio la quantità di riff e solos che impressiona e fa la differenza. Tuttavia è nel trittico finale che la band “evolve” e dà il meglio di sé, come se volesse lasciar presagire quale saranno le linee guida per il futuro. “Virgin Devil Princess” è speed thrash puro dove, manco a dirlo, è il guitar solo a rendere il tutto speciale con le sue melodie malinconiche e l’andamento tipicamente motörheadiano, così come nella seguente “Nightmare Angel 2099”, mentre la conclusiva title track è un vero e proprio anthem apocalittico ed epico, riepilogativo saggio di bravura per una band riesce con semplicità a unire violenza, melodia e, in un certo qual modo, tecnica. Certo è che su un disco dei Bonehunter non si possono spendere troppe parole perché la proposta è standardizzata tra l’archeologico e il bizzarro, ma queste parole non possono che essere positive, grazie alla capacità della band di rendere interessante e visionario un genere dai clichés ben piantati nella tradizione.
“Dark Blood Reincarnation System” non è un capolavoro, non sarà ricordato per la sua carica innovativa, ma se si cercano una quarantina di minuti di musica tritaossa senza impegno, da accompagnare a qualche birra e qualche chiacchiera con amici dal quoziente intellettivo limitato, questo disco sarà vostro compagno d’avventura per parecchio tempo.